Dopo qualche mese più “tranquillo”, nel 2022 è ripreso con slancio il trend di richieste di credito al consumo. Lo riferisce  EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF. Entrando nel merito dell’andamento del comparto, i dati parlano di un incremento complessivo delle richieste del +18,9% rispetto al 2021, recuperando così il clima di fiducia dopo lo shock pandemico degli ultimi due anni. Entrando nel dettaglio della domanda di credito, nel 2022 si è registrata una crescita del 22,9% per le richieste di finanziamento personali, e del +16,7% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi.

La domanda resta “prudente”

Per il terzo anno consecutivo l’importo medio dei finanziamenti richiesti segna una flessione del 3,9% e un valore di 8.106 euro (contro gli 8.434 euro del 2021 e i 8.895 euro del 2020). La dinamica dell’assottigliarsi dell’importo richiesto coinvolge sia i prestiti personali con un valore pari a 12.223 euro (-1,4% rispetto al 2021) sia i prestiti finalizzati che si fermano a 5.717 euro (-8,5% vs 2021).
Se entriamo nel dettaglio della distribuzione dei prestiti per fascia di importo, il dato cumulato mostra come oltre un italiano su due richiede importi inferiori ai 5.000 euro (57,3% del totale), seguiti dagli scaglioni appena superiori: 10.000-20.000 euro (16,4%) e 5.000-10.000 euro (15,1%). La domanda, seppur così frazionata in importi contenuti, viene comunque dilazionata su un arco temporale superiore ai 5 anni per il 22,7% degli italiani, al fine di pesare il meno possibile sul bilancio familiare.

Importi dilazionati nel tempo, ma non troppo

La dinamica prudente delle famiglie italiane si rispecchia anche nello spaccato delle due forme tecniche prese in esame: il 75,1% delle richieste di prestiti finalizzati ha una estinzione del debito non superiore ai 3 anni; mentre i prestiti personali, che spesso rappresentano un impegno particolarmente gravoso per le famiglie, tendono a concentrarsi nella fascia di durata superiore al lustro, 43% del totale. Osservando, infine, la distribuzione delle richieste di prestiti (aggregato personali e finalizzati) in relazione all’età del richiedente, il Barometro CRIF evidenzia come nel 2022 la fascia compresa tra i 35 e i 54 anni sia stata quella maggioritaria, con una quota pari al 45,2% del totale.

Le previsioni per il futuro

“Lo scenario continua a essere dominato dalle tensioni geopolitiche, dall’aumento dei tassi d’interesse e dalla prospettiva di un rallentamento della crescita economica, le cui ricadute peseranno sulle condizioni finanziarie delle famiglie” commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. Rispetto al primo semestre del 2022, le prospettive sull’economia e il mercato del credito appaiono in affanno a causa degli effetti delle tensioni generate dal conflitto in Ucraina e dall’inflazione. Alla luce di tale contesto, nei prossimi mesi la domanda di prestiti potrà subire una flessione a causa del rallentamento dei consumi, in particolare su quelli durevoli”.

Come già saprai, negli ultimi anni c’è stato un notevole aumento degli episodi di furti in casa, anche quando ci sono persone all’interno dell’appartamento.

Questo è un fenomeno preoccupante che richiede una maggiore attenzione e livello di protezione, e le grate di ferro ed inferriate apribili sono una soluzione efficace per impedire fisicamente l’accesso ai malintenzionati.

Perché installare grate di ferro alle finestre?

Dato che le finestre sono una delle principali vie di accesso per i malintenzionati, è importante proteggerle con delle grate di sicurezza.

Le grate di ferro sono robuste e difficili da superare, il che le rende un’ottima scelta per aumentare la sicurezza nella tua casa.

Inoltre, le grate di ferro possono essere personalizzate per adattarsi perfettamente allo stile dell’edificio, mantenendo così un aspetto estetico gradevole.

Perché installare inferriate apribili alle porte?

Anche le porte sono una delle classiche vie di accesso per i ladri, quindi è importante proteggerle con una soluzione extra soprattutto quando si parla di porte che danno direttamente sull’esterno.

Le inferriate apribili offrono un livello di sicurezza simile alle grate di ferro, ma con la comodità di poterle aprire quando non necessario così da non creare nessun ingombro.

Così come avviene per le grate di sicurezza, anche le inferriate rappresentano una barriera difficile da superare e dunque in grado di far desistere ogni malintenzionato.

In base a cosa scegliere le grate di ferro e le inferriate?

Come probabilmente sai già, ci sono molte soluzioni disponibili sul mercato che ti consentono di proteggere porte e finestre di casa, ufficio o negozio.

Per scegliere la giusta grata di ferro o inferriata, è importante considerare il design della tua casa, soprattutto quello esterno  o dell’edificio in generale, nonchè il budget a disposizione.

Esistono infatti prodotti di ogni stile, colore e dunque in grado di accontentare i gusti di tutti nonché le necessità estetiche che il luogo impone.

Chiaramente, è importante assicurarsi di acquistarle da un produttore affidabile e di far installare le grate o l’inferriata da un team con esperienza.

Come fare manutenzione a grate di ferro ed inferriate apribili?

Le grate di ferro e le inferriate apribili, se ben mantenute, possono durare davvero molti anni. Per mantenerle in buone condizioni, è importante pulirle regolarmente e di tanto in tanto lubrificare i meccanismi di apertura e chiusura (i perni della cerniera).

Come le grate di ferro e le inferriate apribili possono aumentare il valore di un appartamento

Oltre a migliorare la sicurezza in casa, le grate di ferro e le inferriate apribili possono anche aumentare il valore della tua proprietà.

Infatti, nell’ottica di una eventuale futura vendita dell’appartamento, la presenza di grate ed inferriate è certamente un importante argomento da considerare quando si effettua la stima dell’immobile.

Il potenziale acquirente infatti, vedrà certamente di buon occhio la loro presenza e sarà certamente disposto a pagare di più.

Riassumendo, possiamo dire che quelli che seguono sono i principali vantaggi del far installare grate di sicurezza e inferriate:

  • Aumentano la sicurezza della casa, il che può aumentare il valore della proprietà agli occhi dei potenziali acquirenti.
  • Possono migliorare l’aspetto estetico dell’immobile, il che è importante quando si vive in condominio.
  • Possono essere personalizzate per adattarsi al design dell’appartamento, così da non risultare essere un corpo estraneo.

Conclusione

In conclusione, proteggere la tua casa con grate di sicurezza e inferriate apribili è una scelta saggia per impedire a chiunque di accedere furtivamente.

C’è davvero molta scelta sul mercato, quindi assicurati di individuare la soluzione giusta per te ed inizia da subito a provare quella piacevole sensazione di sicurezza in casa di cui avevi bisogno.

Osservando il numero di post taggati su Instagram e la domanda annuale di ricerca su Google, Preply ha identificato i cinque tipi di tatuaggi più popolari in tutto il mondo: Nome, Lettera, Citazione, Parola, e Testi. I nomi tatuati sono infatti il tatuaggio più comune, con oltre 298.000 post su Instagram e 2,6 milioni di ricerche annuali su Google. Solitamente è il nome di un membro della famiglia, una persona cara o partner: molti si tatuano il nome di una persona per dimostrare che ci tengono e come simbolo del loro affetto. Le lettere tatuate sono al secondo posto, con un totale di 2,2 milioni di post su Instagram e ricerche su Google. Le lettere tatuate sono semplici e presentano un singolo carattere, spesso la prima lettera di un nome o di un luogo significativo.

Citazioni, parole e testi

Che vogliano ispirare o divertire, le citazioni tatuate sono un ottimo modo per esprimere la propria personalità. Si aggiudicano quindi il terzo posto, con 87.400 post su Instagram e 896.640 ricerche annuali su Google. Che si tratti di un sentimento, un’azione o qualcosa di motivante, le parole tatuate possono riflettere una serie di pensieri e sentimenti diversi. In quanto quarta tipologia più comune, le parole tatuate sono presenti in 87.400 post di Instagram e ottengono 535.200 ricerche annuali su Google. Tatuarsi un testo è invece al quinto posto, con 150.320 risultati totali su Instagram e su Google. I testi tatuati possono variare in lunghezza e stile, che si tratti di un testo particolarmente significativo o una frase della propria canzone preferita.

Le lingue più popolari

Non ci si deve per forza limitare alla propria lingua madre quando ci si fa un tatuaggio. Molti infatti scelgono di farsi tatuare parole o frasi straniere. Alcuni preferiscono l’aspetto estetico di determinate lingue, altri apprezzano il mistero di una lingua che i loro coetanei non conoscono. Il giapponese è in cima alla lista delle lingue (231.240 ricerche all’anno), seguito dal cinese (184.800). Forse perché nella versione scritta di queste lingue vengono utilizzati simboli che molti potrebbero trovare esteticamente gradevoli. L’arabo è la terza lingua più popolare (81.600), mentre l’italiano si colloca al 9° posto, con 19.080 ricerche annuali ogni anno, dimostrando di essere popolare in tutto il mondo.

Pentirsi di un tatuaggio

Disegnare con un inchiostro permanente sul proprio corpo può spesso portare le persone a pentirsene. Con i tatuaggi in lingua, questi rimorsi possono derivare da errori di ortografia e traduzioni errate.
Per individuare i Paesi con il maggior numero di pentimenti Preply ha analizzato la domanda di ricerca per la rimozione e le correzioni di tatuaggi, e gli Stati Uniti mostrano il maggior numero di rimorsi: oltre 1 milione di ricerche annuali per la rimozione di tatuaggi, seguiti da Brasile e Regno Unito (275.040 e 217.200 ricerche). Con 6.720 ricerche all’anno in Italia è Milano dove si riscontra la maggiore richiesta di rimozioni di tatuaggi, seguita da Roma (6.720) e Torino (1.680).

L’economia mondiale si trova in un periodo di grande incertezza emersa con la guerra in Ucraina, e con conseguenze che si riflettono sui principali indicatori macroeconomici. Ad esempio, il Prodotto Interno Lordo (PIL) reale mondiale nel 2023 dovrebbe crescere dell’1,3%, a fronte di una crescita del 3,1% nel 2022 e di una media dell’ultimo decennio del 2,7%. Il report di EY Italian Macroeconomic Bulletin per l’Italia una crescita del Pil reale del 3,8% nel 2022 e dello 0,6% nel 2023, mentre il tasso di inflazione dovrebbe passare dall’8,2% del 2022 indica al 7,1% nel 2023. Secondo il report, il deficit pubblico nel 2023 dovrebbe attestarsi al 4,1% contro il 5% nel 2022, e il debito pubblico dovrebbe scendere al 145% del Pil. Per il mercato del lavoro si prevede una leggera espansione, con il tasso di disoccupazione che dovrebbe scendere poco sotto l’8%.

A novembre 2022 inflazione all’11,8% 

A novembre 2022 l’inflazione complessiva in Italia era l’11,8% rispetto allo stesso mese del 2021. Nonostante la componente energetica sia quella che ha registrato l’aumento maggiore, il suo peso è pari a circa il 10% del totale, motivo per il quale tali dinamiche si riflettano solo in parte sull’Ipc.
Nella definizione del tasso di inflazione, infatti, influisce molto più il settore servizi (38,7% al 2022) rispetto a quello dell’energia. Un altro indicatore influenzato da un’elevata inflazione è la crescita del valore nominale dei salari, che dovrebbero aumentare per contrastare la riduzione del potere d’acquisto dei consumatori.

Sette trimestri di crescita ininterrotta fino al terzo del 2022

In Italia i dati indicano una costante crescita economica, che prosegue consecutivamente da sette trimestri, seppur con un rallentamento registrato nel terzo trimestre del 2022. In questo periodo, infatti, il Pil è cresciuto dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, e del 2,6% rispetto allo stesso trimestre del 2021. Il principale contributo alla crescita registrata già l’anno scorso, e proseguita nei primi 9 mesi del 2022, è dovuto ai consumi delle famiglie e agli investimenti. 

Cosa incide sul Pil?

Nello specifico, gli investimenti rappresentano la componente più dinamica del Pil, con un aumento di circa il 20% rispetto al terzo trimestre 2019. Anche i consumi hanno avuto una crescita considerevole, tornando ad allinearsi con la fase pre-pandemia. Il modello econometrico di EY stima per il quarto trimestre 2023 una lieve contrazione del Pil rispetto al trimestre precedente, dovuta in particolare alla riduzione dei consumi delle famiglie, che dovrebbe protrarsi anche nei primi mesi 2023 per stabilizzarsi nel corso dell’anno. Le previsioni indicano un rallentamento anche delle esportazioni e degli investimenti, dovuto allo scenario economico incerto e ai tassi di interesse elevati.

Secondo la ricerca Sicurezza IT: focus sul settore finanziario in Italia condotta da Kaspersky un quarto delle aziende italiane del settore bancario e finanziario, durante la pandemia, ha subito una violazione causata volontariamente o involontariamente dai dipendenti. 
Le società finanziarie sono considerate un bersaglio redditizio da parte dei cybercriminali, sia per i forti flussi di denaro registrati e le enormi quantità di dati sensibili dei clienti sia per il grado di digitalizzazione del settore, che dall’inizio della pandemia, ha dovuto gestire l’accesso da remoto per i dipendenti. Il comportamento e le competenze dei dipendenti in materia di rischi informatici sono infatti un fattore da non sottovalutare nel settore finanziario italiano. Questo perché spesso i dipendenti non ricevono formazione IT adeguata.

Dipendenti: il punto d’accesso per gli attacchi

Il 13% degli intervistati considera i dipendenti che non conoscono policy e pratiche aziendali relative alla sicurezza la principale minaccia, percentuale che cresce al 22% tra le aziende di piccole e medie dimensioni, e che si riduce all’8% nelle grandi aziende. Il 7% indica smart-working e lavoratori da remoto come potenziale rischio e vulnerabilità. Tra gli intervistati è diffusa anche la consapevolezza che un minimo errore involontario possa mettere in pericolo interi segmenti dei sistemi aziendali.
I dipendenti che ignorano o non conoscono le policy aziendali sono considerati pericolosi quanto la mancanza di personale dedicato alla sicurezza IT (13%).

Non sono ancora diffuse sessioni regolari di formazione

Solo l’8% degli intervistati invece afferma che sono stati utilizzati i programmi non aggiornati come gateway per accedere alla rete aziendale. Il 10% riferisce di aver subito attacchi tramite un service provider esterno o tramite un’azienda partner. Che si tratti di aprire un allegato, cliccare un link infetto o effettuare il download di un software non autorizzato, i criminali informatici spesso prendono di mira i dipendenti per trovare una via d’accesso alla rete aziendale. D’altronde, nonostante le società finanziarie garantiscano una formazione sulla sicurezza informatica al personale IT maggiore rispetto a quella offerta a qualsiasi altro ruolo professionale, c’è sicuramente ampio margine di miglioramento: le sessioni regolari di formazione dei dipendenti non sono ancora abbastanza diffuse.

La sicurezza del reparto IT 

Nelle società con oltre 1.000 dipendenti le aree con il maggior numero di personale regolarmente formato su cyber minacce e comportamenti di sicurezza informatica appartengono al reparto IT, seguiti da dirigenti e analisti. Solo un terzo dei responsabili IT (33%) dichiara che il 100% del reparto IT effettua training regolari, mentre stimano che in media due terzi del totale siano regolarmente formati (67%). Una percentuale riflessa anche tra dirigenti (64%) e altri reparti come assistenti esecutivi (61%), marketing (56%), analisti e trader (62%) e contabilità (59%). In generale, quindi, solo poco più della metà dei dipendenti (54%-67%) ha seguito sessioni di formazione dedicate alla sicurezza informatica.

Come saranno le prossime vacanze natalizie e invernali degli italiani? Il 18% dei nostri connazionali è intenzionato a concedersi un periodo di vacanza durante le festività natalizie, e il 58% tra gennaio e marzo 2023, pur con una leggera contrazione rispetto allo scorso anno. La voglia di vacanza degli italiani quindi non manca. È quanto emerge dall’aggiornamento di Future4Tourism, l’indagine Ipsos che dal 2017 analizza ed esplora i trend futuri del turismo nazionale e internazionale per comprendere le scelte di viaggio e di vacanza degli italiani. 

Capodanno è la festività più ambita

Ma quali sono le previsioni per le vacanze natalizie 2022? Il 18% degli italiani è intenzionato a fare un periodo di vacanza fuori casa durante le festività (in calo di 2 punti percentuali rispetto allo scorso anno) e circa 8 connazionali su 10 rimarranno nel Bel Paese. Il Capodanno è la festività che prevalentemente si decide di includere nel proprio periodo di viaggio (51%), e in un caso su 3 il periodo si estenderà includendo o il giorno di Natale o il giorno dell’Epifania. Rilevante però è anche la quota di coloro che pur andando in vacanza non includono nessuna festività: sono il 24%.  

Vacanze invernali: non solo montagna e sci

I prossimi mesi saranno cruciali per comprendere l’andamento del mercato turistico, considerando i diffusi aumenti di prezzo che già influenzano le scelte di consumo.
In merito alle vacanze invernali 2023, tra chi ha già deciso la destinazione, al pari dello scorso anno, l’Italia continua a essere la meta più scelta (68%). Le destinazioni oltre confine, tuttavia, continuano il costante trend di risalita dopo i periodi caratterizzati dalla pandemia. Il 20% dei vacanzieri, infatti, viaggerà in Europa, il 10% opterà per mete extra europee, e il rimanente 2% farà una crociera.
Relativamente alla tipologia di vacanza, le visite culturali e a città d’arte verranno scelte dal 34% dei viaggiatori, posizionandosi subito dopo le mete all’aria aperta.

Si a giornate sulla neve, ma risparmiando

Montagna, collina e lago raccolgono le preferenze del 38% dei viaggiatori invernali. E se per le vacanze ‘culturali’ Toscana e Lazio sono le regioni più gettonate, le vacanze all’aria aperta interesseranno soprattutto Trentino-Alto Adige, Lombardia ed Emilia-Romagna. Le vacanze in località di mare saranno invece scelte dal 28% dei vacanzieri. L’inverno per molti italiani significa però trascorrere giornate sulla neve. Tra gli sciatori solo l’11% non modificherà le proprie abitudini rispetto agli scorsi anni. Il restante 89% si vedrà costretto ad adottare strategie di contenimento della spesa, scegliendo località con prezzi degli impianti di risalita più contenuti (37%), riducendo le giornate di sci (28%), fino, almeno per quest’anno, alla completa rinuncia (24%).

Sono quasi 5 milioni gli individui che dovrebbero essere inseriti nel mercato del lavoro, un mercato sempre più in difficoltà per un problema di matching tra domanda e offerta in continuo peggioramento. Lo rivela l’ultima indagine di Randstad Research, che ha analizzato il mancato incontro tra domanda e offerta nei diversi settori e territori, identificando per la prima volta gli spostamenti della ‘curva di Beveridge’, lo strumento che permette di analizzare l’efficienza dei diversi mercati del lavoro misurando la variazione percentuale del tasso dei posti vacanti al variare della disoccupazione. La ricerca evidenzia come nella doppia crisi vissuta dall’Italia tra il periodo 2005-2009 e 2015-2019, la ‘curva di Beveridge’ abbia mostrato un forte peggioramento con aumento sia del tasso di disoccupazione sia dei posti vacanti, arrivando a un punto di rottura.

Cosa è successo dopo il Covid

Una volta superate le fasi più critiche del periodo Covid (con il blocco dei licenziamenti), il mercato del lavoro del 2022 paga ancora quegli effetti e i loro strascichi. Mentre diminuisce il tasso di disoccupazione (che resta comunque alto), continua a crescere il numero di offerte di lavoro scoperte. Oggi, ogni 100 disoccupati in meno si contano mediamente 24 posti vacanti in più, riferisce Adnkronos. 
“Le cause strutturali dei colli di bottiglia del nostro mercato del lavoro – commenta Daniele Fano, coordinatore del Comitato scientifico di Randstad Research – sono diverse: ci sono aspetti retributivi, demografici, sociali, ma soprattutto l’inadeguatezza di percorsi formativi poco orientati alle professioni richieste dal mercato e non al passo con l’innovazione tecnologica. E poi la natura della nostra disoccupazione, di lungo periodo, con oltre metà delle persone in cerca di lavoro in Italia disoccupata da più di un anno.”
“La storica debolezza delle politiche del lavoro – dice – relega troppi giovani, donne in età lavorativa, uomini vicini all’età della pensione tra gli inattivi ed esaspera il paradosso di un’elevata difficoltà di reperimento delle figure professionali desiderate da parte dei datori di lavoro, per non parlare dei tanti attivi che hanno scelto invece di far carriera all’estero. Una vera svolta può arrivare dal Pnrr, che investirà importanti risorse in questi ambiti, ma il cui sforzo andrebbe decuplicato per poter risolvere pienamente la situazione”.

Il paradosso degli “scoraggiati”

A fine 2021 si contavano 2,3 milioni di disoccupati. Ma esiste un’altra porzione di popolazione non occupata, che sarebbe disponibile a lavorare anche se un lavoro non lo cerca: gli scoraggiati inattivi che hanno rinunciato a cercare un impiego, ben 2,5 milioni. Sommati, stima Randstad Research, si contano ben 5 milioni di persone da coinvolgere nel mercato del lavoro, tra cui molti giovani, donne e esodati. Analizzando la distribuzione territoriale, in tutte le regioni del Mezzogiorno gli scoraggiati predominano sui disoccupati, con le quote maggiori in Basilicata e Molise, dove la percentuale raggiunge il 70,9% e il 65,9%.

Oggi le aziende faticano a trovare tecnici e figure professionali specializzate: il lavoro c’è, ma manca la manodopera, e non solo in Italia. Sul profilo professionale del tecnico permangono ancora pregiudizi e sentimenti contrapposti, mentre è una figura che si sta evolvendo per rispondere alle nuove aspettative dettate dall’innovazione tecnologica. E che rimane di fondamentale importanza per un tessuto produttivo centrale allo sviluppo economico del Paese. La ricerca di AstraRicerche, commissionata dal Gruppo Tesya, fotografa ambizioni, bisogni e desideri relativi a scuola e lavoro dei giovani studenti tra i 15 e 19 anni in Italia, Spagna, Portogallo, Slovenia e Croazia.

Una figura ancora avvolta da stereotipi

La capacità del tecnico è quella di analizzare, comprendere e prevenire i problemi, e di conseguenza, intervenire direttamente per risolverli. Poiché sempre più aziende sono orientate verso sistemi di manutenzione predittiva, basati sulla teoria del guasto zero, la figura del tecnico si è evoluta in quella del tecnico predittivo, in cui interpretazione dei dati e utilizzo efficace della tecnologia giocano un ruolo determinante. Ma per i giovani italiani questa figura è ancora avvolta da stereotipi: per il 35% ha uno stipendio basso, per il 32% non è una figura professionale stimata, per il 30% non è per niente ‘cool’ perché non ha grandi responsabilità e né deve prendere decisioni, e per il 47% fa un lavoro faticoso. Non solo: per il 41% le scuole professionali e tecniche sono consigliate a chi ha poca voglia di studiare.

Il sogno di una retribuzione adeguata

Per quanto riguarda gli indicatori che influenzano la scelta di accettare o meno un lavoro, per i giovani italiani sono retribuzione adeguata (56%), possibilità di crescita personale (43%) e assenza di precarietà (40%). Nel merito delle competenze, per i giovani predominano componenti legate alle soft skill, soprattutto la comunicazione, che per i giovani italiani guida la classifica (40%). Seguono la capacità di comprendere il cliente (39%) e la capacità di problem solving (33%), mentre la capacità di apprendimento continuo è al terzo posto (23%).

Le professioni del futuro

Gli studenti italiani ritengono che la scuola, in particolare quella superiore, dovrebbe fornire non solo conoscenze e competenze in uno specifico ambito, ma anche formare a essere validi come colleghi (58%), ed esaltare caratteristiche caratteriali e comportamentali (44%). Le professioni ritenute più rilevanti, riporta Adnkronos, sono quelle legate alle nuove tendenze del mondo web: al primo posto, il grafico/designer/web designer (64%), seguito da YouTuber, TikToker, Web Influencer (61%), mentre al terzo posto si attesta l’informatico, sviluppatore di siti web e app (55%), e solo all’ultimo posto il tecnico meccanico, elettronico, commerciale (42%).

La fascia di consumatori under 25 inizia ad affacciarsi sul panorama enologico Made in Italy, e per loro il business del vino si declina in chiave ‘young to young’. Secondo un sondaggio realizzato da Agivi, l’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli italiani di Unione italiana vini, e condotto sul 65% degli associati, 8 giovani vinicoltori su 10 riscontrano la presenza della GenZ tra i clienti.
“Si tratta di un target di consumatori nuovo, ma fondamentale, un segmento di mercato di cruciale importanza per il futuro delle nostre aziende”, commenta la presidente Violante Gardini Cinelli Colombini.

Una generazione social e multitasker che pretende autenticità e attenzione

Anche se l’impatto dei rivenditori e-commerce viene considerato buono o elevato, per 7 giovani viticoltori su 10 (92%) non è sufficiente per fidelizzare questi consumatori. Tra le strategie da affiancare a quella digitale l’offerta di un’experience integrata e le visite in cantina sono al primo posto (49%), seguite dalla necessità di offrire un contatto personale (27%), e dall’utilizzo di forme di comunicazione e intrattenimento efficaci (14%).
Secondo i produttori Tommaso e Alvise Canella, “Abbiamo davanti una generazione di multitasker, estremamente social e in costante overflow informativo, che pretende autenticità e attenzione, ma che si dimostra anche molto preoccupata e coinvolta in questioni sociali”.

Un consumatore in evoluzione 

Le variabili attinenti alla sostenibilità si rivelano in cima alla lista per i consumatori Z, seguite dalle pratiche in cantina e dal marketing. I due terzi dei soci Agivi riscontrano un buon (59%) o elevato (8%) grado di interesse per le tematiche green, che incidono molto (61%) o moltissimo (15%) sull’acquisto. Complessivamente, il livello stimato di preparazione di questi nuovi consumatori è sufficiente per il 52% dei soci, ma buono per solo un socio su quattro.
“La percezione è di un consumatore in evoluzione – aggiunge la vicepresidente Agivi, Marzia Varvaglione -: il 56% dei nostri associati si aspetta infatti un cambiamento nei trend di consumi. A questi si affianca un 36% di sostenitori di una crescita dei winelover tra la GenZ, con cui sarà determinante utilizzare un linguaggio colloquiale ed energico”.

I driver di acquisto

Il packaging svolge un ruolo fondamentale nella conquista dei portafogli under 25, molto (46%) o moltissimo (49%) importante dalla quasi totalità degli intervistati. Tra gli altri driver di acquisto, anche la curiosità per blend, storia o geografia, ritenuta una spinta motivazionale per l’87% degli intervistati. Sul fronte export, per un giovane viticoltore su 2 gli importatori sembrano dedicare un buon livello di attenzione a intercettare i gusti della GenZ, mentre il 30% reputa la considerazione rivolta a questo segmento di mercato appena sufficiente. In particolare, trovare il giusto prodotto per i consumatori under 25 è molto interessante (77%) quando si parla di Stati Uniti, Giappone (64%), e Corea (61%).

Che la si chiami noodle, nudel, pâte, massa, fideos, o macarrão chi mangia la pasta pensa all’Italia. In 10 anni i consumi totali all’estero sono quasi raddoppiati, da 9 milioni di tonnellate a quasi 17, e se noi siamo i più grandi consumatori, con circa 23 chili annui pro-capite, nel 2021 il 61% della produzione nazionale di penne, fusilli &co è stata destinata all’estero. Parliamo di 2,2 milioni di tonnellate, in pratica 75 milioni di porzioni di pasta italiana che ogni giorno sono state proposte nelle case e nei ristoranti di quasi 200 Paesi.
Una ricerca di Unione Italiana Food è entrata nei ristoranti italiani all’estero, sfatando alcuni pregiudizi, dall’extra-cottura alle ricette che non troveremmo mai nei menu dello Stivale.

Consumi in crescita per 8 ristoranti esteri su 10 

Prima della pandemia, l’Economist, incoronava la cucina italiana come “la più influente al mondo”, davanti alla giapponese e quella francese. Nel 2022 sono 10 le ricette di pasta nella Top 30 della CNN dei “piatti italiani che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita”.
Oggi la ricerca di Unione Italiana Food ha intervistato 60 cuochi e ristoratori italiani attivi in Germania, Francia, UK, USA, Giappone ed Emirati Arabi Uniti. E per l’82% dei ristorati interpellati, con punte più alte in Giappone e Francia, il consumo di pasta è aumentato, confermando una tendenza che si era già notata nei consumi casalinghi, durante e dopo il lockdown.

Si cucina seguendo il modello consueto

La pasta è molto importante nel determinare il successo del locale per il 67% dei ristoratori (80% in Francia e Germania). Il 50% dei consumi di pasta nei ristoranti è coperto da pasta secca lunga, spaghetti, linguine, bucatini e soprattutto liscia. Si cucina seguendo il modello consueto (67%, soprattutto in Francia e in Giappone), con acqua che bolle e fuoco acceso fino al raggiungimento dei tempi previsti, poi scolata e condita o risottandola (30%), cuocendola in padella con il condimento. Praticamente sconosciuta (2% solo negli USA) la cottura cosiddetta passiva (pochi minuti di bollore poi fino a quando viene scolata a fuoco spento). Una curiosità: il 22% dei ristoratori serve maxi-porzioni oltre i 100 grammi, addirittura il 60% nell’insospettabile Francia.

Il mondo la mangia al dente

In compenso, la filosofia della pasta al dente, che di fatto è sinonimo di approccio italiano alla pasta, si è affermata anche all’estero. Lo afferma l’82% dei cuochi interpellati. In Francia e USA la pasta è al dente praticamente in tutti i ristoranti, mentre il 18%, con punte del 40% in Giappone, si ‘piega’ al gusto locale, che a volte la preferisce stracotta. E sono anche pochi i compromessi rispetto agli usi locali: il 55% dei ristoranti serve ricette regionali italiane, il 31% ripropone la tradizione, e solo il 14% ritiene che il glocal sia la strada giusta. Ma le ricette che hanno poco a che vedere con il Made in Italy scompaiono nel 73% dei ristoranti.