Fare yoga, camminare, leggere un libro? Qual è la “tecnica” più efficace per combattere lo stress? La risposta sarebbe incredibilmente semplice: guardare un tramonto. Ammirare il sole che si abbassa sull’orizzonte può essere un’esperienza trascendentale; non c’è niente di meglio che ritrovarsi a contemplare la bellezza di un’alba o ancor più di un tramonto. Studi recenti suggeriscono che i tramonti siano tra i fenomeni meteorologici transitori più belli del giorno, e per questo sono considerati tra i momenti più intensi ed emozionanti. In particolare, a sottolineare l’efficacia “terapeutica” del tramonto è una recente ricerca  pubblicata sul Washington Post. La natura, e lo spettacolo del sole che sorge o tramonta in modo specifico, è infatti un validissimo antistress.

Uno spettacolo che rilassa

La ricerca ha inoltre stabilito che guardare un alba o un tramonto riduce lo stress e aumenta le sensazioni positive. Si tratterebbe addirittura di un effetto ancor più potente rispetto a quello che si otterrebbe osservando delle opere d’arte o immagini toccanti sullo screensaver del nostro computer. Alex Smalley, principale autore dello studio e dottorando presso l’Università di Exeter in Inghilterra, sottolinea come la bellezza di un tramonto spesso riesca a farci dimenticare le preoccupazioni. “Lo stupore è in genere un sentimento difficile da evocare”, ha affermato Smalley. Tuttavia, “i sentimenti di stupore possono anche migliorare l’umore, aumentare le emozioni positive e diminuire lo stress”, afferma il Washington Post. Albe e tramonti regalano immediatamente un senso di pace e di sollievo.

Più effetti positivi in autunno e in inverno

Bisogna però considerare anche gli aspetti che influenzano la visione di un tramonto. In base a quanto scrive il Washington Post, “L’ estate è un momento critico per vedere i tramonti ” perché spesso c’è un aumento dell’inquinamento atmosferico. Il periodo migliore è invece durante l’autunno e l’inverno, quando l’aria è più pulita e limpida. Anche le nuvole possono influire sul risultato finale riflettendo ulteriormente la luce solare sul terreno. Tutto cambia velocemente e in pochi minuti si può assistere alla trasformazione del cielo. E’ proprio questa mutevolezza che rende affascinante lo spettacolo. E se i tramonti si perdono insieme alle albe, cosa succede? Non è facile cogliere il momento giusto. Anche perché si tratta di momenti “molto effimeri”, tanto che anche osservandone le sfumature cambiano nel corso di minuti se non di secondi. Quindi prevedere un tramonto da brividi e irripetibile non è né facile né programmabile. Bisogna saper cogliere l’attimo … quello giusto.

Osservando il numero di post taggati su Instagram e la domanda annuale di ricerca su Google, Preply ha identificato i cinque tipi di tatuaggi più popolari in tutto il mondo: Nome, Lettera, Citazione, Parola, e Testi. I nomi tatuati sono infatti il tatuaggio più comune, con oltre 298.000 post su Instagram e 2,6 milioni di ricerche annuali su Google. Solitamente è il nome di un membro della famiglia, una persona cara o partner: molti si tatuano il nome di una persona per dimostrare che ci tengono e come simbolo del loro affetto. Le lettere tatuate sono al secondo posto, con un totale di 2,2 milioni di post su Instagram e ricerche su Google. Le lettere tatuate sono semplici e presentano un singolo carattere, spesso la prima lettera di un nome o di un luogo significativo.

Citazioni, parole e testi

Che vogliano ispirare o divertire, le citazioni tatuate sono un ottimo modo per esprimere la propria personalità. Si aggiudicano quindi il terzo posto, con 87.400 post su Instagram e 896.640 ricerche annuali su Google. Che si tratti di un sentimento, un’azione o qualcosa di motivante, le parole tatuate possono riflettere una serie di pensieri e sentimenti diversi. In quanto quarta tipologia più comune, le parole tatuate sono presenti in 87.400 post di Instagram e ottengono 535.200 ricerche annuali su Google. Tatuarsi un testo è invece al quinto posto, con 150.320 risultati totali su Instagram e su Google. I testi tatuati possono variare in lunghezza e stile, che si tratti di un testo particolarmente significativo o una frase della propria canzone preferita.

Le lingue più popolari

Non ci si deve per forza limitare alla propria lingua madre quando ci si fa un tatuaggio. Molti infatti scelgono di farsi tatuare parole o frasi straniere. Alcuni preferiscono l’aspetto estetico di determinate lingue, altri apprezzano il mistero di una lingua che i loro coetanei non conoscono. Il giapponese è in cima alla lista delle lingue (231.240 ricerche all’anno), seguito dal cinese (184.800). Forse perché nella versione scritta di queste lingue vengono utilizzati simboli che molti potrebbero trovare esteticamente gradevoli. L’arabo è la terza lingua più popolare (81.600), mentre l’italiano si colloca al 9° posto, con 19.080 ricerche annuali ogni anno, dimostrando di essere popolare in tutto il mondo.

Pentirsi di un tatuaggio

Disegnare con un inchiostro permanente sul proprio corpo può spesso portare le persone a pentirsene. Con i tatuaggi in lingua, questi rimorsi possono derivare da errori di ortografia e traduzioni errate.
Per individuare i Paesi con il maggior numero di pentimenti Preply ha analizzato la domanda di ricerca per la rimozione e le correzioni di tatuaggi, e gli Stati Uniti mostrano il maggior numero di rimorsi: oltre 1 milione di ricerche annuali per la rimozione di tatuaggi, seguiti da Brasile e Regno Unito (275.040 e 217.200 ricerche). Con 6.720 ricerche all’anno in Italia è Milano dove si riscontra la maggiore richiesta di rimozioni di tatuaggi, seguita da Roma (6.720) e Torino (1.680).

La fascia di consumatori under 25 inizia ad affacciarsi sul panorama enologico Made in Italy, e per loro il business del vino si declina in chiave ‘young to young’. Secondo un sondaggio realizzato da Agivi, l’Associazione dei giovani imprenditori vinicoli italiani di Unione italiana vini, e condotto sul 65% degli associati, 8 giovani vinicoltori su 10 riscontrano la presenza della GenZ tra i clienti.
“Si tratta di un target di consumatori nuovo, ma fondamentale, un segmento di mercato di cruciale importanza per il futuro delle nostre aziende”, commenta la presidente Violante Gardini Cinelli Colombini.

Una generazione social e multitasker che pretende autenticità e attenzione

Anche se l’impatto dei rivenditori e-commerce viene considerato buono o elevato, per 7 giovani viticoltori su 10 (92%) non è sufficiente per fidelizzare questi consumatori. Tra le strategie da affiancare a quella digitale l’offerta di un’experience integrata e le visite in cantina sono al primo posto (49%), seguite dalla necessità di offrire un contatto personale (27%), e dall’utilizzo di forme di comunicazione e intrattenimento efficaci (14%).
Secondo i produttori Tommaso e Alvise Canella, “Abbiamo davanti una generazione di multitasker, estremamente social e in costante overflow informativo, che pretende autenticità e attenzione, ma che si dimostra anche molto preoccupata e coinvolta in questioni sociali”.

Un consumatore in evoluzione 

Le variabili attinenti alla sostenibilità si rivelano in cima alla lista per i consumatori Z, seguite dalle pratiche in cantina e dal marketing. I due terzi dei soci Agivi riscontrano un buon (59%) o elevato (8%) grado di interesse per le tematiche green, che incidono molto (61%) o moltissimo (15%) sull’acquisto. Complessivamente, il livello stimato di preparazione di questi nuovi consumatori è sufficiente per il 52% dei soci, ma buono per solo un socio su quattro.
“La percezione è di un consumatore in evoluzione – aggiunge la vicepresidente Agivi, Marzia Varvaglione -: il 56% dei nostri associati si aspetta infatti un cambiamento nei trend di consumi. A questi si affianca un 36% di sostenitori di una crescita dei winelover tra la GenZ, con cui sarà determinante utilizzare un linguaggio colloquiale ed energico”.

I driver di acquisto

Il packaging svolge un ruolo fondamentale nella conquista dei portafogli under 25, molto (46%) o moltissimo (49%) importante dalla quasi totalità degli intervistati. Tra gli altri driver di acquisto, anche la curiosità per blend, storia o geografia, ritenuta una spinta motivazionale per l’87% degli intervistati. Sul fronte export, per un giovane viticoltore su 2 gli importatori sembrano dedicare un buon livello di attenzione a intercettare i gusti della GenZ, mentre il 30% reputa la considerazione rivolta a questo segmento di mercato appena sufficiente. In particolare, trovare il giusto prodotto per i consumatori under 25 è molto interessante (77%) quando si parla di Stati Uniti, Giappone (64%), e Corea (61%).

Che la si chiami noodle, nudel, pâte, massa, fideos, o macarrão chi mangia la pasta pensa all’Italia. In 10 anni i consumi totali all’estero sono quasi raddoppiati, da 9 milioni di tonnellate a quasi 17, e se noi siamo i più grandi consumatori, con circa 23 chili annui pro-capite, nel 2021 il 61% della produzione nazionale di penne, fusilli &co è stata destinata all’estero. Parliamo di 2,2 milioni di tonnellate, in pratica 75 milioni di porzioni di pasta italiana che ogni giorno sono state proposte nelle case e nei ristoranti di quasi 200 Paesi.
Una ricerca di Unione Italiana Food è entrata nei ristoranti italiani all’estero, sfatando alcuni pregiudizi, dall’extra-cottura alle ricette che non troveremmo mai nei menu dello Stivale.

Consumi in crescita per 8 ristoranti esteri su 10 

Prima della pandemia, l’Economist, incoronava la cucina italiana come “la più influente al mondo”, davanti alla giapponese e quella francese. Nel 2022 sono 10 le ricette di pasta nella Top 30 della CNN dei “piatti italiani che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita”.
Oggi la ricerca di Unione Italiana Food ha intervistato 60 cuochi e ristoratori italiani attivi in Germania, Francia, UK, USA, Giappone ed Emirati Arabi Uniti. E per l’82% dei ristorati interpellati, con punte più alte in Giappone e Francia, il consumo di pasta è aumentato, confermando una tendenza che si era già notata nei consumi casalinghi, durante e dopo il lockdown.

Si cucina seguendo il modello consueto

La pasta è molto importante nel determinare il successo del locale per il 67% dei ristoratori (80% in Francia e Germania). Il 50% dei consumi di pasta nei ristoranti è coperto da pasta secca lunga, spaghetti, linguine, bucatini e soprattutto liscia. Si cucina seguendo il modello consueto (67%, soprattutto in Francia e in Giappone), con acqua che bolle e fuoco acceso fino al raggiungimento dei tempi previsti, poi scolata e condita o risottandola (30%), cuocendola in padella con il condimento. Praticamente sconosciuta (2% solo negli USA) la cottura cosiddetta passiva (pochi minuti di bollore poi fino a quando viene scolata a fuoco spento). Una curiosità: il 22% dei ristoratori serve maxi-porzioni oltre i 100 grammi, addirittura il 60% nell’insospettabile Francia.

Il mondo la mangia al dente

In compenso, la filosofia della pasta al dente, che di fatto è sinonimo di approccio italiano alla pasta, si è affermata anche all’estero. Lo afferma l’82% dei cuochi interpellati. In Francia e USA la pasta è al dente praticamente in tutti i ristoranti, mentre il 18%, con punte del 40% in Giappone, si ‘piega’ al gusto locale, che a volte la preferisce stracotta. E sono anche pochi i compromessi rispetto agli usi locali: il 55% dei ristoranti serve ricette regionali italiane, il 31% ripropone la tradizione, e solo il 14% ritiene che il glocal sia la strada giusta. Ma le ricette che hanno poco a che vedere con il Made in Italy scompaiono nel 73% dei ristoranti.

Attualmente l’impatto mediatico del Metaverso è maggiore rispetto a quello economico: lo ha sottolineato in occasione del Milano Marketing Festival, Sir Martin Sorrell, già fondatore di WPP nonché ceo di S4 Capital. Eppure è un dato di fatto che le Big Tech, come Facebook o Microsoft stiano concentrando sempre più attenzioni e investimenti nello sviluppo di mondi virtuali. O, per l’appunto, di metaversi. E questi, quando si diffonderanno, cambieranno concretamente il modo di lavorare. È possibile pensare al Metaverso come a una rete di mondi virtuali tridimensionali, all’interno dei quali gli avatar (e ogni persona che vi accederà avrà un avatar) potranno interagire tra loro. Parlare, discutere di un nuovo progetto, condividere informazioni o fare affari.

Rimodellare il concetto di lavoro a distanza

In un mondo in cui lo smart working è ormai parte della ‘normalità’, il Metaverso può rimodellare il concetto stesso di lavoro a distanza, creando nuove forme immersive di collaborazione. Il Metaverso, però, non si creerà e non si svilupperà da solo: parallelamente al suo impatto sul mondo del lavoro, questo nuovo universo virtuale impatterà anche sul mercato del lavoro, con l’aumento importante delle ricerche di figure ben definite.
“Non si tratterà della nascita da zero di nuove figure professionali – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di selezione del personale – quanto invece della specializzazione di figure già esistenti”.

Costruire gli spazi virtuali e i prodotti che li comporranno

“Prima di tutto – prosegue l’head hunter – serviranno professionisti in grado di costruire sia gli spazi virtuali sia i prodotti che li comporranno. Ecco allora che le aziende attive nel Metaverso avranno la necessità di poter contare su sviluppatori, ingegneri, designer e creatori digitali, tutti profili che nei prossimi anni saranno quindi ancora più ricercati di quanto avviene oggi”.
Il mondo virtuale del Metaverso non deve però essere unicamente creato, deve essere anche gestito e protetto, soprattutto dalle minacce esterne.
Ecco quindi che il Metaverso incrementerà ulteriormente le ricerche di esperti di cyber security, “capaci di ridurre al minimo le falle degli spazi virtuali, per mettere al sicuro sia i dati dei singoli utenti del Metaverso sia quelli delle imprese”, sottolinea Adami.

Nel futuro architetti di sale meeting virtuali e consulenti di viaggio virtuali

“Sarebbe infine sbagliato pensare al Metaverso unicamente come a un luogo per ottimizzare il lavoro da remoto – puntualizza ancora Carola Adami -. Ci saranno conseguenze importanti anche nel mondo della socialità, del gaming e persino del turismo. Non è fantascienza: tra qualche anno potremmo effettivamente essere alla ricerca di architetti per la realizzazione di sale meeting virtuali, e allo stesso tempo, di consulenti di viaggio virtuali”. 

Il 5G sta crescendo più velocemente di tutte le precedenti generazioni di tecnologie mobili. Per raggiungere il traguardo del miliardo di abbonati il 4G ha impiegato sei anni, mentre il 5G raggiungerà un miliardo di abbonamenti nel 2022, due anni in meno. Solo nel primo trimestre 2022 si sono aggiunti circa 70 milioni, ma i margini sono ancora enormi. A quanto emerge dal Mobility Report di Ericsson, oggi solo un quarto della popolazione mondiale ha accesso potenziale alle reti 5G, attraverso cui passa circa il 10% del traffico mobile globale. Ma entro il 2027 tre quarti della popolazione sarà coperta dalla tecnologia, il 60% del traffico sarà gestito da reti 5G e gli abbonamenti saranno 4,4 miliardi, quasi la metà di tutte le sottoscrizioni.

Il traffico raddoppia ogni due anni

In Europa occidentale a fine 2021 gli abbonamenti erano 31 milioni, in decisa crescita rispetto ai 5 milioni di fine 2020, e nel 2023 sfioreranno 150 milioni.
E se il 4G rappresenta circa l’80% delle sottoscrizioni tenderà a perdere quota a partire dal prossimo anno, e tra cinque anni il 5G avrà una penetrazione dell’82%. Le reti più efficienti sono la condizione base per lo sviluppo di servizi più complessi e la fruizione di prodotti più ‘pesanti’ (streaming, videogiochi, alta definizione). Non sorprende, quindi, che la diffusione di 4G e 5G vada di pari passo con la crescita del traffico dati, raddoppiato negli ultimi due anni.

Verso smartphone da 120 dollari

Anche le vendite di dispositivi 5G sono più che raddoppiate tra il 2020 e il 2021, e molto dipende dagli smartphone. Emergono infatti dispositivi 5G di fascia media, non più solo di gamma da oltre mille euro. E in futuro la connettività di nuova generazione approderà anche alle fasce più economiche, con un prezzo stimato di 120 dollari. Occhiali e visori per la realtà aumentata poi beneficeranno di una connettività che assicura prestazioni migliori, ma la loro diffusione è ancora limitata. La quinta generazione, inoltre, sta favorendo l’emergere di nuovi ‘pacchetti’: a dominare è ancora quello tradizionale, basato su una quantità limitata di dati, ma con il traffico in aumento potrebbe crearsi un ‘tappo’ alla diffusione del 5G.

Abbonamenti: il prezzo cambia in base alla velocità

Le dimensioni delle offerte attuali, riporta AGI, spesso di poche decine di giga, non sono infatti tagliate su prodotti che richiedono un dispendio di dati ben più consistente.   Per lo stesso motivo, fornire a tutti abbonamenti illimitati da centinaia o migliaia di giga potrebbe essere complicato. Ecco allora il modello emergente: un pacchetto dati illimitato, ma solo per alcuni servizi. Il prezzo dell’abbonamento potrebbe quindi cambiare in base al livello di velocità. Per accedere a servizi ‘leggeri’ non è necessario spingere il 5G al limite delle sue capacità, ma chi desidera immagini in altissima definizione e tempi di latenza ridotti potrebbe essere disposto a pagare di più.

In uno studio condotto in 5 Paesi, Italia, UK, Francia, Germania e Spagna Eumetra ha analizzato il rapporto della Gen Z con il mondo finanziario. E ha scoperto forti differenze sia all’interno della Gen Z stessa sia tra Paese e Paese. Nel rapporto con la scolarizzazione e il lavoro, ad esempio, italiani e spagnoli studiano a lungo e ottengono titoli di studio mediamente più alti, ma il loro accesso al lavoro full time è risibile: 11% per gli italiani contro 31% in UK, 35% in Germania e 28% in Francia.
Anche l’accesso al reddito è diverso: solo il 4% degli italiani e il 6% degli spagnoli dichiara di accedere a più di 1.500 euro al mese, a fronte del 28% in UK e 20% in Germania.

Opportunità e fattori di rischio

Ma come possono collocarsi le banche in tale contesto? Ci sono elementi di opportunità e fattori di rischio. Tra le opportunità, i giovanissimi tendono a risparmiare perché hanno, o dichiarano di avere, una progettualità di vita. Quanto ai rischi, i giovanissimi dichiarano di non conoscere particolarmente bene il settore bancario. La ‘consapevole ignoranza’ implica un ruolo di maggior rilevanza della cerchia di influenzatori (famiglia, amici…), che risultano più ‘influenti’ in Italia, Spagna e Francia, dove meno del 30% dichiara di essere autonomo nell’acquisto di prodotti finanziari. Al contrario, tedeschi e inglesi mostrano maggiore indipendenza.

Gli acquisti finanziari sono influenzati dai genitori

Di fatto, gli acquisti finanziari dei giovani sono influenzati dai genitori. Inoltre, i giovanissimi italiani ammettono di conoscere poco i brand, e 4 su 10 dichiarano di essere a conoscenza di 3 big player come Unicredit, Intesa Sanpaolo e Poste. Tra i brand su cui i giovani dichiarano meno ignoranza fanno capolino sia banche con una spiccata immagine ‘conversazionale’, come BPER e Banco Mediolanum, sia player come Satispay. Inoltre, i giovani italiani ‘iperdigitalizzati’ usano ancora il denaro contante (1 su 2) e la carta di credito (43%) seguita da PayPal (42%). Le app come Apple Pay o Samsung Pay convincono solo un giovane su 5.

Il passaparola è la prima fonte di informazione

Quindi, come farsi conoscere dai giovanissimi? Il passaparola, fisico e digitale, di genitori e amici è la prima fonte di informazione. La conoscenza del sistema di influenza è quindi centrale per intercettarli.
I mezzi da cui attendono comunicazione sono prevalentemente online, ma non necessariamente social, che piacciono ma non discriminano per categoria merceologica. Quanto ai contenuti di comunicazione attesi invece devono mostrare il vantaggio economico e mostrare quali risultati si possono ottenere
In altre parole, non dimentichiamo che sono una generazione pragmatica e razionale, più di quanto agli adulti, più emotivi e impulsivi, piace ammettere.

Sono tantissimi gli utenti di tutto il mondo, italiani compresi, che sostituiscono spesso i loro device. In particolare, è lo smartphone l’oggetto tecnologico che viene cambiato più di sovente. D’altronde questo apparecchio – che è un vero proprio mondo piuttosto che un telefono – è sempre meno soggetto anche alle logiche di brand. Lo sottolinea uno studio condotto da GWI e TEADS, che afferma che oggi gli utenti sono meno fedeli al marchio e più propensi a cambiare brand di smartphone, in particolare valorizzando aspetti come le prestazioni del device e privilegiando smartphone innovativi e funzionali.

I prodotti di punta in Italia

In Italia uno dei marchi più apprezzati è Xiaomi, il terzo brand per numeri di vendita dopo Samsung e Apple secondo i dati di Strategy Analytics, un marchio in forte crescita a livello globale e sempre più forte anche in Spagna e in molti paesi dell’America Latina come il Messico e il Brasile. Eppure, se da un lato molte persone vogliono cambiare telefono e optare per soluzioni più efficienti e adatte alle proprie esigenze, dall’altro una delle principali difficoltà è il trasferimento dati. Passare i dati dal vecchio telefono al nuovo smartphone non è semplicissimo, soprattutto quando il trasferimento dati deve essere effettuato con alcune marche di device mobile che non facilitano questo processo. In alcuni casi esistono delle applicazioni native dei brand, oppure dei servizi di terze parti, tuttavia spesso questi programmi presentano delle limitazioni che non consentono di realizzare un trasferimento dati veloce, sicuro e completo tra due smartphone. Fortunatamente, però, oggi esistono delle soluzioni che permettono di risolvere questo problema in modo efficiente.

Come trasferire i dati

Quando si acquista un telefono nuovo, sia che si utilizzi un sistema operativo Android sia iOs,  occorre necessariamente trasferire i dati dal vecchio telefono al nuovo dispositivo. Per farlo, in totale sicurezza e con la garanzia di non perdere nulla, ci si può appoggiare anche a dei software altamente specializzati. Come riporta Adnkronos, per  agevolare questa operazione è possibile utilizzare Wondershare MobileTrans, un moderno software che consente di trasferire dati, effettuare backup e ripristinare dati tra telefoni in maniera facile, rapida e sicura.

I nuovi nomadi digitali 2.0, per i quali il Parlamento ha appena disegnato un ‘visto’ di soggiorno apposito, sono cresciuti. Non sono più ventenni, single, freelance della tecnologia al lavoro da qualche remota località asiatica. Oggi in prevalenza sono esperti di marketing e comunicazione over 35, si spostano con il partner e non disdegnano di soggiornare oltre 3 mesi in Italia, meglio se in una delle regioni del Sud. Il 46% dei lavoratori da remoto intervistati dal Secondo Rapporto sul nomadismo digitale in Italia, condotto dall’Associazione italiana nomadi digitali e da Airbnb, ha già fatto esperienze di nomadismo digitale, mentre il restante 54% dichiara di volerlo fare nel prossimo futuro.

E se il fenomeno interessa maggiormente le donne, che rappresentano il 54% degli intervistati, l’età di riferimento è quella dai 25 ai 44 anni (67%).

Cade lo stereotipo del giovane freelance

A livello professionale cade quindi lo stereotipo del giovane freelance che lavora in ambito tecnologico: il nuovo remore worker è un dipendente o collaboratore (52%), impiegato principalmente nei settori del marketing e comunicazione (27%) e presenta in media un alto livello di istruzione. Il 42% ha una laurea e il 31% un master o un dottorato. Questo tipo di esperienza poi non è più ad appannaggio dei single: chi la sceglie, infatti, preferisce la compagnia del proprio partner (44%) o della famiglia (23%).

Mezzogiorno e le isole le destinazioni preferite

Il Mezzogiorno e le isole sono destinazioni gradite complessivamente da 3 intervistati su 4 (76%). Le attività che vorrebbero maggiormente sperimentare, e che interessano più remote worker e nomadi digitali, sono gli eventi culturali e quelli enogastronomici (60%), seguiti da attività a contatto con la natura (51%), esperienze originali e caratteristiche del territorio (40%) e attività di socializzazione con la comunità locale (37%). Durata del soggiorno? L’esperienza per molti potrebbe andare da 1 a 3 mesi (42%), oppure da 3 a 6 (25%). Complessivamente, per quasi un nomade digitale 1 su 2, la permanenza potrebbe durare oltre 3 mesi e fino a 1 anno (45%).

Qualità della connessione e costi della vita devono essere adeguati

Gli aspetti più rilevanti e irrinunciabili per i remote worker che vorrebbero vivere un’esperienza di nomadismo digitale in Italia, e che influenzano la scelta della loro destinazione, sono qualità della connessione (65%), costi della vita adeguati alle loro esigenze (61%), attività culturali (40%) e possibilità di sperimentare le tradizioni locali (37%). Di fatto, scrive Adnkronos, a marzo 2022, con il decreto ‘Sostegni-ter’, è stata approvata una norma che introduce nel nostro ordinamento la figura dei nomadi digitali, definiti come “cittadini di un Paese terzo, che svolgono attività lavorativa altamente qualificata attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici che consentono di lavorare da remoto in via autonoma ovvero per un’impresa anche non residente nel territorio dello Stato italiano”.

Le richieste degli utenti non solo si sono fatte sentire, ma sono anche state ascoltate: Instagram ha adottato un sistema di feed che permette di scegliere fra diversi tipi di visualizzazione. Sostanzialmente ora gli utenti possono personalizzare il feed, decidendo se privilegiare le persone seguite oppure i contenuti prediletti. Le due nuove opzioni, che sono appunto Preferiti e Seguiti, danno molta più autonomia agli utenti, lasciando più spazio alle loro preferenze. D’altronde, una maggiore flessibilità era quasi d’obbligo, visto che gli iscritti a Instagram hanno raggiunto i due miliardi di persone.

Cronologia e altro

Meta, la società titolare del social, fa sapere che l’obiettivo delle nuove feature è “dare alle persone la possibilità di personalizzare ancora di più la propria esperienza su Instagram e fare in modo che possano trovare facilmente i contenuti più interessanti”. Preferiti e Seguiti: cosa sono? “Il feed di Instagram – spiega la nota della società, ripresa da Agi – è un mix di foto e video delle persone seguite, di post suggeriti e altro ancora. Stiamo lavorando per aggiungere ulteriori post suggeriti in base agli interessi, mentre le nuove opzioni Preferiti e Seguiti che annunciamo oggi costituiscono un nuovo modo per scoprire i post più recenti delle persone che seguiamo”. 

Preferiti e seguiti

Scegliendo la modalità “Preferiti”, verranno mostrati i post più recenti dei profili aggiunti in una lista precedentemente creata, ad esempio i migliori amici o i creator preferiti. Inoltre, i post degli account Preferiti saranno visualizzati più in alto anche nel feed tradizionale. Scegliendo la modalità “Seguiti”, invece, verranno mostrati i post delle persone che seguiamo. Sia la modalità Preferiti sia quella Seguiti mostreranno i post in ordine cronologico, così da rimanere sempre aggiornati sulle ultime novità degli account che più ci interessano. Per scegliere tra le due diverse modalità basta toccare il logo Instagram in alto a sinistra e scegliere quale visualizzare. 

La lista dei preferiti

Come riferisce ancora Agi, “Per vedere i post più recenti dei profili aggiunti alla lista dei preferiti, basta selezionare Preferiti. Alla lista si possono aggiungere fino a 50 account ed è possibile apportare modifiche in qualsiasi momento. Le persone non verranno avvisate quando vengono aggiunte o rimosse da questa lista”. I post dei profili della lista Preferiti saranno visualizzati più in alto anche nel feed della home, in quello della modalità “Seguiti” e saranno identificabili da un’icona a forma di stella.