La riduzione del personale può causare rischi di cybersecurity alle Pmi? Kaspersky ha intervistato più di 1.300 responsabili di Pmi in tutto il mondo per scoprire quali rischi di cybersecurity potrebbero comportare le misure anti-crisi. Secondo alcuni studi, nonostante durante la pandemia la fidelizzazione dei team aziendali sia stata la priorità assoluta per quasi la metà delle organizzazioni, molte aziende potrebbero essere costrette a ‘tagliare’ il personale per ridurre i costi. E di fatto, solo il 51% dei dirigenti è sicuro che i propri ex dipendenti non abbiano più accesso ai dati aziendali archiviati nei servizi cloud, e solo il 53% che gli ex dipendenti non possano più usare gli account aziendali.

La riduzione del personale può mettere a rischio il futuro dell’azienda?

Dal momento che quasi la metà degli intervistati non è riuscita ad affermare con certezza che i propri ex dipendenti non abbiano accesso alle risorse digitali dell’azienda, la riduzione del personale potrebbe mettere ulteriormente a rischio la sicurezza dei dati e il futuro dell’azienda. Infatti, l’uso improprio dei dati da parte degli ex dipendenti nei nuovi posti di lavoro, o per procurarsi nuovi clienti, è stato il principale motivo di preoccupazione per i dirigenti. La maggior parte dei dirigenti aziendali teme infatti che gli ex dipendenti condividano i dati interni dell’azienda con i nuovi datori di lavoro (63%) o utilizzino i dati aziendali, come quelli dei vecchi clienti, per lanciare la propria attività (60%).

“L’accesso non autorizzato può diventare un problema enorme”

“L’accesso non autorizzato può diventare un problema enorme per qualsiasi azienda, con ripercussioni sulla sua competitività quando i suoi dati vengono trasferiti a un concorrente, venduti o cancellati – ha spiegato Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky -. Il problema si complica quando i dipendenti utilizzano attivamente servizi aziendali o ‘shadow IT’ che non sono distribuiti o controllati dai dipartimenti IT aziendali. Se l’utilizzo di questi servizi non viene gestito dopo il licenziamento di un dipendente, ci sono poche possibilità che l’accesso alle informazioni condivise tramite queste applicazioni venga interrotto per un ex lavoratore”.

Misure anticrisi: la sicurezza non si “taglia”

Nel complesso, il 31% degli intervistati considera la riduzione dell’occupazione come una possibile misura per tagliare i costi in caso di crisi. Tra le altre misure di riduzione dei costi più diffuse gli intervistati indicano la diminuzione delle spese per la pubblicità e la promozione (36%), e quella per i veicoli (34%). La cybersecurity, invece, non sembra essere un’area in cui i responsabili preferirebbero risparmiare sul budget.

Il digitale è un elemento ormai sempre più diffuso e centrale nella vita quotidiana di lavoratori e consumatori. Non stupiscono, ad esempio, le stime pubblicate da Desi, il monitor della Commissione europea che analizza lo stato di digitalizzazione dei Paesi membri, secondo il quale l’Italia nel 2022 vanta il primato del Paese che in Europa più sta crescendo su questo fronte. Anche i servizi di welfare devono però adattarsi a questa trasformazione. 
Secondo i dati di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, dalla sfida posta dalla digitalizzazione non è infatti esente il mondo del lavoro e del welfare aziendale.

Integrare piattaforme digitali per la gestione dei benefit

Nel 2022 il welfare aziendale ha visto importanti novità, in particolare dal punto di vista normativo, ma che già nel biennio precedente aveva registrato dinamiche di cambiamento significative dal punto di vista dei modelli organizzativi. Le aziende infatti sono sempre più interessate a integrare piattaforme digitali per la gestione dei servizi di welfare e benefit offerti ai propri collaboratori, in grado di consentire un facile accesso da remoto.
Un esempio di questa integrazione è Sodexo Multi, la smart card di Sodexo che coniuga la flessibilità dei buoni pasto con una user experience digitale e di pagamento rinnovata.

“Una connessione sempre più stretta tra azienda e dipendenti”

“Investire nella digitalizzazione del welfare, come ci raccontano i dati che abbiamo raccolto, rappresenta una grande opportunità per le imprese -commenta Anna Maria Mazzini, Chief Growth Officer di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia-, poiché i nuovi strumenti digitali a nostra disposizione consentono di creare una connessione sempre più stretta tra azienda e dipendenti, semplificando notevolmente i processi per le HR, nonché la fruizione per i dipendenti, e intercettando in modo innovativo i nuovi bisogni delle persone e degli utenti. Sono proprio i nostri collaboratori, ormai perfettamente a loro agio nell’utilizzo quotidiano di app e piattaforme digitali, a richiedere soluzioni smart di questo tipo”.

Incentivare l’utilizzo dei fringe benefit per i lavoratori

Negli ultimi annila normativa ha evidenziato la volontà del legislatore a incentivare l’utilizzo dei fringe benefit per i lavoratori, che possono comporre liberamente il proprio paniere di beni e servizi da acquistare attraverso il budget assegnato. Grazie al Decreto Aiuti bis varato dal Governo e recentemente approvato dal Parlamento, riferisce Adnkronos, la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit poi è ora pari a 600 euro. E quest’anno il Governo ha previsto un bonus, anch’esso interamente deducibile, per il carburante. Per i lavoratori, i fringe benefit rappresentano, invece, un ammontare non soggetto a contribuzione né a prelievo fiscale. Un modo per le aziende di supportare, in una congiuntura economica delicata come quella attuale, la capacità di spesa di famiglie e imprese.

Il cambiamento climatico è un tema sempre più dibattuto, attuale e che necessità di risposte e azioni concrete da parte dei governi. Non è certo un caso se all’incirca in 34 paesi del mondo, coinvolti da una ricerca internazionale di Ipsos condotta in collaborazione con il World Economic Forum, oltre la metà degli intervistati (56%) ritiene che i gravi effetti del cambiamento climatico siano già visibili nella propria zona. Inoltre, a causa del cambiamento climatico, più di sette rispondenti su dieci (71%) si aspettano gravi conseguenze nella propria aerea nei prossimi 10 anni e un terzo (35%) prevede lo sfollamento nei prossimi 25 anni.

Gli italiani ancora più negativi

I cittadini italiani mostrano una preoccupazione molto più elevata, rispetto alla media internazionale, in merito alla gravità degli effetti del cambiamento climatico sia nel presente, sia guardando al futuro. Quali sono le principali opinioni? 
La percentuale di intervistati che descrive l’effetto che il cambiamento climatico ha avuto finora nell’area in cui vivono con livelli molto o abbastanza gravi varia dal 25% in Svezia al 75% in Messico, con una media del 56% in tutti i 34 Paesi. A livello internazionale, la maggioranza in 22 dei 34 Paesi esaminati riferisce che la loro area è già stata gravemente colpita dal cambiamento climatico, inclusi 9 Paesi in cui si superano i due terzi: Messico, Ungheria, Turchia, Colombia, Spagna, Italia, India, Cile e Francia. Nello specifico, in Italia sono sette cittadini su dieci a ritenere che il cambiamento climatico ha già avuto effetti gravi nel luogo in cui vivono.

Cosa accadrà nel prossimo decennio?

Gli intervistati vedono nero per quanto riguarda il futuro. La preoccupazione di essere gravemente colpiti dai cambiamenti climatici nel prossimo decennio è espressa dalla maggioranza degli intervistati in ogni Paese esaminato: dal 52% in Malesia a oltre l’80% in Portogallo, Messico, Ungheria, Turchia, Cile, Corea del Sud, Spagna e Italia. Il timore per le conseguenze negative future del cambiamento climatico è maggiore di 15 punti rispetto a quanti affermano che gli effetti gravi siano giù visibili. Infatti, in media a livello internazionale, il 71% si aspetta che il cambiamento climatico avrà un impatto molto o abbastanza grave nella propria area nei prossimi 10 anni. La percentuale aumenta notevolmente in Italia, dove l’81% dei cittadini prevede che la propria area sarà gravemente colpita dai cambiamenti climatici nel prossimo decennio. 

A delineare lo scenario è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal: a settembre salgono a 227mila le assunzioni per cui le imprese dichiarano difficoltà di reperimento. Le cause prevalenti si confermano la “mancanza di candidati” (27,8%) e la “preparazione inadeguata” (11,9%), e il mismatch riguarda soprattutto gli operai specializzati (56,8%), i conduttori di impianti fissi e mobili e le professioni tecniche (47%).  Le figure di più difficile reperimento sono Meccanici artigianali, montatori, riparatori e manutentori (65,8%), Artigiani e operai specializzati nelle costruzioni (65,6%), ma anche tecnici in campo ingegneristico (64,1%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (59,9%), tecnici della salute (54,5%), specialisti in scienze matematiche, informatiche, chimiche, fisiche e naturali (53,3%) e ingegneri (46,5%).

Nord-Est più in difficoltà

A incontrare le maggiori difficoltà di reperimento sono le imprese delle regioni del Nord-Est, dove sono difficili da reperire il 49% delle figure ricercate, seguite da NordOvest (43%), Centro (42,1%), Sud e Isole (39,3%). Secondo Excelsior sono 524mila i lavoratori ricercati dalle imprese per il mese di settembre, 2mila in meno (-0,4%) rispetto a quanto programmato un anno fa. In frenata il comparto manifatturiero (-13,6%, 15mila posti in meno rispetto a settembre 2021) e soprattutto il commercio (-30,0%, -25mila). Su queste dinamiche sta incidendo il continuo rialzo dei costi dell’energia e delle materie prime, con i relativi effetti su inflazione e consumi. Per quanto riguarda il trimestre settembre-novembre 2022, le assunzioni previste superano di poco 1,4milioni, -3,0% rispetto al 2021.

Quasi un’assunzione su tre riguarda i giovani

La difficoltà di reperimento interessa il 43,3% delle assunzioni programmate (+7% rispetto a settembre 2021), quando il mismatch tra domanda e offerta era pari al 36,4% dei profili ricercati. Quasi un’assunzione su tre (31,7%) riguarda giovani fino a 29 anni d’età. Continua però l’andamento positivo delle costruzioni: 57mila le entrate programmate nel mese (+37,3% annuo), e 154mila per il trimestre settembre-novembre (+30,4%). Sono negative invece le previsioni per la maggior parte dei comparti manifatturieri, che stanno programmando 99mila entrate nel mese e 275mila nel trimestre, con una flessione tendenziale rispettivamente del -13,6% e -13,4%.

Frenata per Industrie tessili, dell’abbigliamento e calzature

Tra i settori in frenata, soprattutto le Industrie tessili, dell’abbigliamento e calzature (-31,8% annuo e -31,2% nel trimestre), le Industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (-27,4%, -25,6%), le Industrie meccaniche ed elettroniche (-18,2%, -19,9%) e le Industrie della carta, cartotecnica e stampa (-11,4%, -14,6%). Sono invece 368mila i contratti di lavoro programmati dalle imprese dei servizi (-0,5% su settembre 2021), e oltre 976mila quelli previsti per il trimestre (-3,7% sull’analogo trimestre del 2021).
Il dato negativo è imputabile soprattutto alla contrazione del commercio (-30% e -33,0%), seguito dai servizi media e comunicazione (-5,4% e -2,0%).

Attualmente l’impatto mediatico del Metaverso è maggiore rispetto a quello economico: lo ha sottolineato in occasione del Milano Marketing Festival, Sir Martin Sorrell, già fondatore di WPP nonché ceo di S4 Capital. Eppure è un dato di fatto che le Big Tech, come Facebook o Microsoft stiano concentrando sempre più attenzioni e investimenti nello sviluppo di mondi virtuali. O, per l’appunto, di metaversi. E questi, quando si diffonderanno, cambieranno concretamente il modo di lavorare. È possibile pensare al Metaverso come a una rete di mondi virtuali tridimensionali, all’interno dei quali gli avatar (e ogni persona che vi accederà avrà un avatar) potranno interagire tra loro. Parlare, discutere di un nuovo progetto, condividere informazioni o fare affari.

Rimodellare il concetto di lavoro a distanza

In un mondo in cui lo smart working è ormai parte della ‘normalità’, il Metaverso può rimodellare il concetto stesso di lavoro a distanza, creando nuove forme immersive di collaborazione. Il Metaverso, però, non si creerà e non si svilupperà da solo: parallelamente al suo impatto sul mondo del lavoro, questo nuovo universo virtuale impatterà anche sul mercato del lavoro, con l’aumento importante delle ricerche di figure ben definite.
“Non si tratterà della nascita da zero di nuove figure professionali – spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di selezione del personale – quanto invece della specializzazione di figure già esistenti”.

Costruire gli spazi virtuali e i prodotti che li comporranno

“Prima di tutto – prosegue l’head hunter – serviranno professionisti in grado di costruire sia gli spazi virtuali sia i prodotti che li comporranno. Ecco allora che le aziende attive nel Metaverso avranno la necessità di poter contare su sviluppatori, ingegneri, designer e creatori digitali, tutti profili che nei prossimi anni saranno quindi ancora più ricercati di quanto avviene oggi”.
Il mondo virtuale del Metaverso non deve però essere unicamente creato, deve essere anche gestito e protetto, soprattutto dalle minacce esterne.
Ecco quindi che il Metaverso incrementerà ulteriormente le ricerche di esperti di cyber security, “capaci di ridurre al minimo le falle degli spazi virtuali, per mettere al sicuro sia i dati dei singoli utenti del Metaverso sia quelli delle imprese”, sottolinea Adami.

Nel futuro architetti di sale meeting virtuali e consulenti di viaggio virtuali

“Sarebbe infine sbagliato pensare al Metaverso unicamente come a un luogo per ottimizzare il lavoro da remoto – puntualizza ancora Carola Adami -. Ci saranno conseguenze importanti anche nel mondo della socialità, del gaming e persino del turismo. Non è fantascienza: tra qualche anno potremmo effettivamente essere alla ricerca di architetti per la realizzazione di sale meeting virtuali, e allo stesso tempo, di consulenti di viaggio virtuali”. 

La Commissione Europea ha pubblicato ha pubblicato i risultati dell’Indice di digitalizzazione dell’economia e della società 2022 (DESI) che registra i progressi compiuti negli Stati membri dell’UE in ambito digitale. Durante la pandemia di Covid-19, gli Stati membri hanno compiuto progressi nei loro sforzi di digitalizzazione ma stentano ancora a colmare le lacune in termini di competenze digitali, digitalizzazione delle PMI e diffusione di reti 5G avanzate. Il dispositivo per la ripresa e la resilienza, con circa 127 miliardi di euro destinati a riforme e investimenti nel settore digitale, offre un’opportunità senza precedenti, che l’UE e gli Stati membri non possono lasciarsi sfuggire, per accelerare la trasformazione digitale. I risultati mostrano che, sebbene la maggior parte degli Stati membri stia avanzando nella trasformazione digitale, le imprese stentano tuttora ad adottare tecnologie digitali fondamentali, come l’intelligenza artificiale (IA) e i big data. Occorre intensificare gli sforzi per garantire la piena diffusione dell’infrastruttura di connettività (in particolare il 5G) necessaria per servizi e applicazioni altamente innovativi. Le competenze digitali sono un altro settore importante in cui gli Stati membri devono compiere progressi più ampi.

I più avanti i paesi del Nord

Finlandia, Danimarca, Paesi Bassi e Svezia restano all’avanguardia dell’UE. Ma anche questi paesi presentano lacune in settori chiave: la diffusione di tecnologie digitali avanzate quali l’IA e i big data, che rimane al di sotto del 30% e molto lontana dall’obiettivo del decennio digitale del 75% per il 2030; la diffusa carenza di personale qualificato, che rallenta il progresso generale e porta all’esclusione digitale.
Sussiste una tendenza generale positiva alla convergenza: il livello di digitalizzazione dell’UE continua a migliorare e gli Stati membri partiti dai livelli più bassi crescono a un ritmo più rapido recuperando terreno a poco a poco. In particolare, l’Italia, la Polonia e la Grecia hanno migliorato notevolmente i loro punteggi DESI negli ultimi 5 anni, realizzando investimenti consistenti grazie a una maggiore attenzione politica al digitale, anche con l’aiuto dei finanziamenti europei. Poiché gli strumenti digitali diventano parte integrante della vita quotidiana e della partecipazione alla società, le persone prive di adeguate competenze digitali rischiano di essere lasciate indietro. Solo il 54% degli europei di età compresa tra i 16 e i 74 anni possiede almeno competenze digitali di base: l’obiettivo è arrivare almeno all’80% entro il 2030.

L’Italia sale di due posizioni

L’Italia continua a guadagnare terreno nel digitale. Nell’edizione 2022 dell’indice Ue di digitalizzazione dell’economia e della società (Desi) il nostro Paese si colloca al 18esimo posto fra i 27 Stati membri, dal 20esimo dell’edizione precedente. Due anni fa era 25esima.
Nonostante i progressi, anche sulla connettività, “la trasformazione digitale” in Italia “sconta ancora varie carenze cui è necessario porre rimedio”, evidenzia Bruxelles, indicando che “oltre la metà dei cittadini italiani non dispone di competenze digitali di base” e “la percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro è inferiore alla media dell’Ue”.

Il mercato immobiliare italiano sta entrando in una nuova fase. Sotto la spinta favorevole ereditata dal 2021 e dalla prima parte del 2022, il mercato è sostenuto dal forte interesse per la casa da parte delle famiglie, e da una maggiore propensione alla diversificazione da parte degli investitori corporate. Nonostante i rincari, la scarsa capacità reddituale e la dipendenza da credito, il desiderio di acquisto dell’abitazione da parte delle famiglie continua a essere significativo. Secondo il 2° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2022 di Nomisma, l’atteggiamento delle banche però si sta facendo più cauto, e questo porterà a non soddisfare parte delle richieste.

Forte domanda, scarsa capacità reddituale

“Colpisce il fatto che in un momento come questo, in cui si tende addirittura a erodere il risparmio, la casa rimanga nell’immaginario collettivo degli italiani un baluardo a cui aggrapparsi – spiega Luca Dondi dall’Orologio, AD Nomisma -. Sono oltre 3,3 milioni i nuclei familiari che si dicono intenzionati, potendo, ad acquistare un’abitazione”. 
Per quanto riguarda le compravendite, “il 2022 sarà ancora un anno positivo, con una proiezione oltre le 700mila transazioni – aggiunge Dondi -. Per l’anno prossimo, invece, se ne prevedono poco più di 600mila perché molte domande non si tradurranno in un’effettiva compravendita. Questo rimane un risultato lusinghiero, ma dà l’idea del ridimensionamento di un mercato, che seppur trainato da una forte richiesta, presenta difficoltà in termini di capacità reddituale”.

Prezzi in risalita. Anche per uffici e negozi

Al 30 giugno 2022 la variazione annuale dei prezzi delle abitazioni è pari in media al +2,9%, con un range di variazione che va dal +6,3% di Milano al -0,2% di Venezia Laguna. Un risultato coerente con l’intensità della domanda e l’incremento delle compravendite. La dinamica di rialzo dei prezzi ha interessato anche uffici e negozi, che dopo 13 anni di flessione, registrano per la prima volta una variazione positiva dei prezzi, timida risalita dovuta alla riduzione del potere contrattuale della domanda.

Edilizia del futuro e nuove esigenze abitative

La domanda di casa si caratterizza dalla ricerca di dotazioni accessorie, divenute imprescindibili, e dall’esigenza di raggiungere centro urbano e servizi in 15 minuti da casa, a piedi o in bicicletta. 
“A questa necessità si contrappone una carenza di offerta sia per le case in vendita sia in locazione, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche qualitativo”, precisa l’AD.
Ma come sarà l’edilizia del futuro? “Estensiva, compenetrata col verde – commenta Carlo Alessandro Puri Negri, Presidente di Blue SGR -, gli uffici dovranno tenere conto di esigenze di flessibilità e di sicurezza, perché andremo sempre più incontro a una soluzione mista, che vede sia il lavoro da casa sia il lavoro in ufficio e dovranno prevedere spazi destinati al benessere e alla socialità degli occupanti”.

Secondo i dati Istat nel primo trimestre 2022 si evidenzia un calo delle nuove attività registrate in Italia (-8,6%). Tra inflazione, aumenti energetici e problemi nel reperimento di alcune materie prime, gli imprenditori italiani sembrano scoraggiati dal contesto economico. Ma c’è chi dall’estero guarda con interesse al nostro Paese. I dati di Semrush, piattaforma di Saas per la gestione della visibilità online, mostrano infatti che la query ‘starting a business in Italy as an american’ ha registrato un incremento di digitazioni del 400%. In forte aumento anche la più generica ricerca ‘starting a small business in Italy’ (+350%), e quella che interroga il web in modo più diretto per capire i passi da compiere per avviare un’attività nel nostro Paese, ovvero, ‘how to start a small business in Italy’, cresciuta del +100%.

La confidenza con gli acquisti online fa crescere l’e-commerce

Le attività che suscitano maggiore interesse sono i bed and breakfast, in calo invece palestre e gelaterie, ma sono gli e-commerce a registrare la crescita maggiore. L’aumento della digitalizzazione nel nostro Paese ha portato inoltre i consumatori ad acquisire una maggior confidenza con gli acquisti online. Secondo i dati degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, in Italia si è registrata una crescita del 23% nel 2021, e si stima un ulteriore aumento del 14% nel corso di questo anno.

Aprire un B&B, una palestra o una gelateria?  

Per quanto riguarda le tipologie di attività che suscita il maggior interesse negli imprenditori, le ricerche su come aprire un bed and breakfast sono le più numerose, con una media di 2.300 volte al mese. Ma a registrare la crescita maggiore sono gli e-commerce, con un incremento del 213%.
In calo, invece, le ricerche su come aprire palestre e gelaterie, entrambe a -33% circa. Per quanto riguarda le palestre, durante il primo lockdown del 2020 si è verificato un boom dei corsi di fitness online (in quel periodo Semrush aveva documentato incrementi di ricerche online anche del 1.000%). Una volta tornati ad aprire i centri sportivi, però, molte persone hanno scelto di mantenere quella modalità di allenamento, senza rinnovare gli abbonamenti in palestra.

Maggior dinamismo e ripresa economica grazie agli imprenditori esteri

Quanto alle gelaterie, invece, forse preoccupa la stagionalità del prodotto, che unita a un contesto economico critico e instabile, porta chi desideri investire in una nuova attività in questo momento a concentrarsi su altro, riferisce Adnkronos.
“Nonostante le difficoltà del momento, l’Italia è guardata con interesse dagli imprenditori esteri, che stanno valutando le aperture di nuovi business nei nostri paesi, informandosi sugli step da compiere – spiega Chiara Clemente, Marketing Manager Italia di Semrush -. Questi dati ci dipingono uno scenario che sembra andare verso un maggior dinamismo e una ripresa economica”.

Il 5G sta crescendo più velocemente di tutte le precedenti generazioni di tecnologie mobili. Per raggiungere il traguardo del miliardo di abbonati il 4G ha impiegato sei anni, mentre il 5G raggiungerà un miliardo di abbonamenti nel 2022, due anni in meno. Solo nel primo trimestre 2022 si sono aggiunti circa 70 milioni, ma i margini sono ancora enormi. A quanto emerge dal Mobility Report di Ericsson, oggi solo un quarto della popolazione mondiale ha accesso potenziale alle reti 5G, attraverso cui passa circa il 10% del traffico mobile globale. Ma entro il 2027 tre quarti della popolazione sarà coperta dalla tecnologia, il 60% del traffico sarà gestito da reti 5G e gli abbonamenti saranno 4,4 miliardi, quasi la metà di tutte le sottoscrizioni.

Il traffico raddoppia ogni due anni

In Europa occidentale a fine 2021 gli abbonamenti erano 31 milioni, in decisa crescita rispetto ai 5 milioni di fine 2020, e nel 2023 sfioreranno 150 milioni.
E se il 4G rappresenta circa l’80% delle sottoscrizioni tenderà a perdere quota a partire dal prossimo anno, e tra cinque anni il 5G avrà una penetrazione dell’82%. Le reti più efficienti sono la condizione base per lo sviluppo di servizi più complessi e la fruizione di prodotti più ‘pesanti’ (streaming, videogiochi, alta definizione). Non sorprende, quindi, che la diffusione di 4G e 5G vada di pari passo con la crescita del traffico dati, raddoppiato negli ultimi due anni.

Verso smartphone da 120 dollari

Anche le vendite di dispositivi 5G sono più che raddoppiate tra il 2020 e il 2021, e molto dipende dagli smartphone. Emergono infatti dispositivi 5G di fascia media, non più solo di gamma da oltre mille euro. E in futuro la connettività di nuova generazione approderà anche alle fasce più economiche, con un prezzo stimato di 120 dollari. Occhiali e visori per la realtà aumentata poi beneficeranno di una connettività che assicura prestazioni migliori, ma la loro diffusione è ancora limitata. La quinta generazione, inoltre, sta favorendo l’emergere di nuovi ‘pacchetti’: a dominare è ancora quello tradizionale, basato su una quantità limitata di dati, ma con il traffico in aumento potrebbe crearsi un ‘tappo’ alla diffusione del 5G.

Abbonamenti: il prezzo cambia in base alla velocità

Le dimensioni delle offerte attuali, riporta AGI, spesso di poche decine di giga, non sono infatti tagliate su prodotti che richiedono un dispendio di dati ben più consistente.   Per lo stesso motivo, fornire a tutti abbonamenti illimitati da centinaia o migliaia di giga potrebbe essere complicato. Ecco allora il modello emergente: un pacchetto dati illimitato, ma solo per alcuni servizi. Il prezzo dell’abbonamento potrebbe quindi cambiare in base al livello di velocità. Per accedere a servizi ‘leggeri’ non è necessario spingere il 5G al limite delle sue capacità, ma chi desidera immagini in altissima definizione e tempi di latenza ridotti potrebbe essere disposto a pagare di più.

Per le prossime vacanze estive si profila una stangata nel settore della ricettività: scatta l’allarme rincari per hotel e ristoranti, ma anche B&B, motel, pensioni, agriturismi, villaggi vacanze, campeggi e ostelli della gioventù. A segnalarlo è l’Unione nazionale consumatori, che ha condotto per l’Adnkronos uno studio elaborando gli ultimi dati Istat relativi al mese di maggio, e stilando una classifica delle città con i maggiori rincari. Nonostante maggio non sia tradizionalmente un mese di ferie, e non ci siano stati ‘ponti’, i prezzi dei servizi di alloggio sono già saliti in media del 12,5% rispetto a maggio 2021. In particolare, +14,7% alberghi e motel, +10,7% pensioni, e +0,4% villaggi vacanze, campeggi e ostelli.

Torino prima in classifica per i prezzi più alti

Ma le differenze sul territorio sono enormi, con oltre 58 punti percentuali di differenza tra la città più cara e la meno cara. Sintomo anche di una differente ripresa della domanda turistica, ancora a macchia di leopardo, con alcune città addirittura in deflazione.  A guidare la classifica della città con i maggiori rialzi nel settore alberghiero è Torino, con un balzo del 40,5% rispetto allo scorso anno, al secondo posto Palermo, con un incremento annuo del 36,5%, e al terzo Siena, con +30,7%.
Appena giù dal podio, Bologna (+28,9%), seguita da Teramo (+23,5%), Milano (21,6%), poi Trieste (+20,7%), Como (+20,2%) e Roma (+19,6%). Chiude la Top Ten Viterbo, con un aumento del +19,3%.

Venezia in deflazione: -17,5%

Sull’altro versante, il dato clamoroso di Venezia, in deflazione con un crollo dei prezzi su base annua del 17,5%. La seconda città più ‘virtuosa’ è Caltanissetta (-4,9%), mentre sul gradino più basso del podio si posiziona Trapani (-1,2%). Ma in deflazione è anche Livorno (-0,4%). L’Unione nazionale consumatori ha condotto un’analisi dei rincari anche su base mensile, da cui risulta che Torino rimane in cima alla Top Ten anche rispetto ad aprile (+33,2%), mentre al secondo posto si piazza Siena (+28,1%) e al terzo Palermo (+18,8%). A seguire Bologna, che mantiene il quarto posto (+14,9%), seguita da Siracusa (+13,3%), Lucca (+13,2%), Parma (+11,6%), Rimini (+11,4%), Campobasso (11,2%) e Como (+10,8%).

A Verona mangiare fuori costa l’8,7% in più rispetto ad aprile

Non va molto meglio per i ristoranti: per i Servizi di ristorazione (ristoranti, pizzerie, bar, pasticcerie, gelaterie, prodotti di gastronomia e rosticceria), l’Istat rileva divari tra le città meno clamorosi rispetto agli alberghi ma sempre consistenti. A fronte di un’inflazione annua al 4,5%, lo scarto tra la città più economica e la più svantaggiosa è pari al 7,5%. A vincere questa classifica è Verona, dove i ristoranti rincarano rispetto a maggio 2021 dell’8,7%, al secondo posto Gorizia (+8,3%), e al terzo Palermo (+7,9%). Seguono Brescia (+7,8%), Forlì-Cesena e Sassari (+7,3% entrambe), Lecco (+7,1%), Olbia (7%), Trento (6,7%), e Piacenza (+6,6%). La città dove mangiare fuori costa meno invece è Campobasso (1,2%), seguita da Massa-Carrara (+1,6%), e Lodi (+1,7%).