Anche le vacanze 2021 mostrano una netta preferenza degli italiani verso le mete nazionali, tanto che un italiano su tre, il 33%, passerà le proprie vacanze all’interno della regione di appartenenza, e sono solo il 6% coloro che prevedono di andare all’estero. È quanto emerge da una analisi Coldiretti/Ixè, che evidenzia come in questa l’estate 2021 saranno 33,5 milioni gli italiani che andranno in vacanza almeno per qualche giorno. Rispetto allo scorso anno, l’estate 2021 fa infatti registrare una sostanziale stabilità nelle partenze (-1%), anche se quest’anno in molti hanno scelto di ritardare il periodo vacanziero, concentrato nei mesi di luglio, e soprattutto di agosto.

Spiaggia meta preferita, ma piace anche la riscoperta dei piccoli borghi

Dall’analisi Coldiretti/Ixè emergono però anche i fattori che determinano la scelta o meno di andare in vacanza. E a pesare di più sulla decisione di non partire al primo posto rientrano le difficoltà economiche, seguite dalla paura del contagio e dai timori per il futuro. Per gli italiani che partiranno invece la spiaggia resta la meta preferita, spiega Coldiretti, ma tiene anche quest’anno il turismo in montagna e quello di prossimità, con la riscoperta dei piccoli borghi. A cambiare profondamente rispetto allo scorso anno è invece la presenza di turisti stranieri, con un balzo del 32% fra luglio e agosto secondo le proiezioni di Coldiretti su dati Isnart. 

Agriturismi molto gettonati, e tra gli svaghi ricerca di cibo e vino locali

La maggioranza degli italiani in viaggio ha scelto di riaprire le seconde case di proprietà, o di alloggiare in quelle di parenti e amici o in affitto, ma nella classifica delle preferenze ci sono le pensioni e gli alberghi, e molto gettonati risultano anche gli agriturismi. Tra gli svaghi preferiti, secondo l’analisi di Coldiretti, c’è la ricerca del cibo e del vino locali, diventata la prima voce del budget delle vacanze Made in Italy nel 2021, con circa un terzo della spesa per consumi al ristorante, street food, ma anche per l’acquisto di souvenir.

Il primato italiano nel turismo enogastronomico 

D’altronde, riporta una notizia Ansa, l’Italia è leader mondiale incontrastato nel turismo enogastronomico, grazie a 315 specialità a indicazione geografica riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, oltre a 5266 prodotti tradizionali regionali censiti lungo tutta la Penisola. L’Italia inoltre vanta il primato dell’agricoltura più green d’Europa, e con più di 80 mila operatori biologici l’Italia e la più grande rete mondiale di mercati di agricoltori e fattorie aderenti alla rete nazionale Campagna Amica.

Il 64,3% degli 824,2 miliardi di spese annue dei 25,6 nuclei familiari residenti nel nostro Paese, pari a 528,7 miliardi di euro, è destinata a casa, cibo, e vestiario.
Lo rileva l’analisi realizzata dal Centro studi di Unimpresa, dal titolo La spesa degli italiani e il peso delle tasse. Secondo lo studio, le quote maggiori della spesa sono infatti quelle per l’abitazione, pari a 274 miliardi di euro, comprese le utenze, il 33% del totale, e per il cibo, pari a 141 miliardi, il 17%. In pratica oltre il 50% dei consumi delle famiglie italiane, cioè 415 miliardi, è riferito alle voci relative alla casa e alla spesa alimentare.

L’ammontare delle spese dal tempo libero all’istruzione

Per il tempo libero e la cultura, le famiglie italiane sborsano invece 41,3 miliardi (5,0%), più di quanto sia necessario per pagare i 38,8 miliardi di cure sanitarie (4,7%).L’abbigliamento (vestiario e calzature) comporta uscite per 36,9 miliardi (4,5%), poco di più di quanto si spenda per alberghi e ristoranti (36,3 miliardi, 4,4%). Per mobili ed elettrodomestici, poi, si spendono 35,3 miliardi (4,3%), mentre le rate dei mutui comportano esborsi per 26,9 miliardi (3,3%). Per le comunicazioni, comprese le utenze per la telefonia, fissa e mobile, si spendono 20,7 miliardi (2,5%), mentre alcolici e tabacchi costano 13,9 miliardi (1,7%). Fanalino di coda la voce “istruzione” con 7,1 miliardi (0,9%). 

Attenzione alla riforma fiscale e alle esigenze delle famiglie

“Il regime della tassazione dei consumi è estremamente complesso e articolato, sarà cruciale, nel momento in cui si metterà mano, nell’ambito della riforma fiscale, anche all’Iva, prestare la massima attenzione ai comportamenti delle famiglie e alle loro esigenze. Nessuno dovrà essere penalizzato dalle nuove norme tributarie – commenta il presidente di Unimpresa, Giovanna Ferrara -. “La determinazione delle aliquote Iva, e non solo quelle, viene considerata spesso una scelta squisitamente tecnica, ma è, in realtà, una decisione dall’alto peso politico: ne consegue che il governo e il Parlamento, in sede di definizione di eventuali, nuovi livelli di tassazione, dovranno essere consapevoli del significativo impatto sociale delle misure”.

L’Iva sui consumi delle famiglie garantisce allo Stato 62,8 miliardi di entrate

Quanto agli aspetti fiscali, riporta Agi, l’Iva sui consumi di 25.667mila famiglie garantisce allo Stato un gettito annuo di 62,8 miliardi di euro. Rispetto alla spesa di 824,2 miliardi complessivi, l’imponibile è pari a 429,7 miliardi, mentre la spesa esente da tassazione si attesta a 330,9 miliardi. Le due aliquote agevolate (al 4% e al 10%) assicurano incassi erariali, rispettivamente, per 2,8 miliardi e 16 miliardi, mentre l’aliquota ordinaria (22%) pesa per 44,1 miliardi. L’aliquota media calcolata, considerando base imponibile e gettito complessivo, si attesta al 14,6%, e la spesa totale al netto dell’Iva è pari a 760,6 miliardi.

In Italia, il 50% delle famiglie possiede un animale domestico. E l’11% di queste lo ha adottato nell’ultimo anno. Lo dice una recente indagine condotta online da BVA Doxa su un campione di 1.000 casi. 

La pandemia tra le ragioni del “sì”

Tra le principali motivazioni alla base delle adozioni ci sono innanzitutto l’allegria (36%) che portano in casa; la compagnia, che è considerata un vero e proprio conforto emotivo (33%); l’affetto incondizionato che riescono a trasmettere (29%). Un altro driver importante sono le richieste dei figli, che proprio grazie agli animali domestici diventano più responsabili e  riescono a colmare i tanti momenti di vuoto (21%) che hanno caratterizzato gli ultimi mesi. 
Anche lo smart working ha rappresentato un fattore importante nella scelta di adottare un animale domestico, convincendo gli eterni indecisi, innanzitutto grazie a una maggiore disponibilità di tempo. 

Gatto e cane i pet preferiti

In base alla ricerca di BVA Doxa, le adozioni si concentrano soprattutto su gatto e cane, scelti rispettivamente nel 50% e nel 46% dei casi (segnando un’inversione di tendenza rispetto al passato, quando il cane si affermava al primo posto). A grande distanza seguono gli uccelli, in particolare cardellini, canarini, pappagalli, e tartarughe, che arrivano a pari merito al 7%; criceti e conigli si attestano sul 5% mentre il pesce rosso entra a far parte del 4% delle famiglie italiane.

Attenzione all’igiene

La presenza di un animale domestico con cui condividere tante ore della giornata porta con sé anche un cambio di abitudini e comporta una maggiore attenzione sia per quanto riguarda la pulizia e l’igiene della casa, sia verso quella dell’animale stesso. Infatti, il 28% dichiara di aver diversificato e aumentato l’utilizzo di prodotti per mantenere gli spazi igienizzati e gli animali puliti per garantire la reciproca protezione.

Soprattutto donne: l’identikit del “pet lover”

Che caratteristiche hanno le persone che negli ultimi mesi hanno adottato un animale domestico? Dalla ricerca emerge un gruppo con una maggioranza di donne e una concentrazione nella fascia di età medio – giovane, con il 40% tra i 25 e i 44 anni. Il livello di istruzione è medio, con il 60% di diplomate alla scuola media superiore. Tra le professioni, è forte la presenza di impiegate, ma anche di insegnanti, imprenditrici o commercianti, mentre le pensionate sono quasi assenti. Infine, i “new pet lovers” si trovano soprattutto in Centro Italia, con una maggiore concentrazione nel Lazio, in Toscana e Sardegna, e vivono solitamente in famiglie composte da quattro componenti.

Parola d’ordine, ripartire. È questa la parola d’ordine del 50° Congresso nazionale dell’Aidp, l’associazione italiana per la direzione del personale, che per l’edizione 2021 ha scelto proprio di svolgersi all’insegna del concetto di ripartenza. E che grazie ai contributi di centinaia di esperti e professionisti del mondo del lavoro coinvolti, ha declinato in 13 proposte suddivise per aree tematiche, e sintetizzate in 5 punti, la ripartenza al lavoro.

Smart working, si va verso un modello ibrido

La prima proposta dei direttori Aidp è quella di adeguare le necessità tra lavoro da remoto e in presenza. Dopo il massiccio ricorso allo smart working in fase pandemica, bisognerà infatti capire come riorganizzarlo in un contesto di normalità, anche a seguito di un’analisi costi-benefici. Secondo gli esperti si va verso un modello ibrido con alternanza tra lavoro da remoto e in presenza. Un modello che coinvolgerà tutte le figure lavorative e professionali, a esclusione delle mansioni non ‘remotizzabili’.

Un’impresa resiliente con le persone al centro dell’azienda

Come rendere l’impresa resiliente? L’Aidp non ha dubbi: usare il contratto collettivo di lavoro, ai vari livelli, per modellare una disciplina dei rapporti di lavoro secondo le esigenze aziendali, investire nella formazione permanente e continua del personale in percorsi di crescita e valorizzazione, e organizzare l’impresa in senso orizzontale. Ma la riorganizzazione dell’azienda e del lavoro deve necessariamente partire dall’esigenza di mettere le persone e il loro benessere al centro. Allo scopo bisogna partire dal ‘basso’, ascoltare i suggerimenti provenienti dai lavoratori nella riprogettazione dei modelli organizzativi, semplificare la scala gerarchica, favorire la condivisione delle idee e valorizzare come priorità la dimensione umana del lavoro, favorendo il benessere fisico e psicologico dei dipendenti.

Potenziare il welfare aziendale e allineare le competenze

Il ruolo integrativo dell’azienda nel nuovo modello di welfare community, basato sempre più sulla collaborazione tra pubblico e privato, per i direttori del personale è decisivo, soprattutto in considerazione dei nuovi bisogni sociali. Va potenziato lo strumento anche verso le nuove esigenza della mobilità sostenibile, l’aggiornamento di alcuni parametri come il concetto di famiglia, il sostegno ai servizi alla persona e l’innalzamento strutturale del tetto ai fringe benefit a 516 euro l’anno. Si rende necessario, riporta Adnkronos, un programma di reskilling di ampia portata verso le nuove competenze della rivoluzione ibrida, ossia AI e intelligenza umana, cyber e fisico, quindi, per superare il digital divide e favorire un reale processo di occupazione e sviluppo economico. Il 72% delle aziende dubita, infatti, di aver le giuste competenze.

Se da un lato il Covid ha scosso l’intero sistema economico, portando una profonda crisi, dall’altro ha dato l’opportunità di rivedere alcuni paradigmi che rischiavano di paralizzare il mondo del lavoro, accelerando il processo di digitalizzazione in ogni ambito e responsabilizzando maggiormente i dipendenti attraverso il lavoro da remoto. Insomma, la Pandemia ha mutato il mondo del lavoro, cambiando il modo di concepire l’idea stessa di lavoro, i rapporti tra colleghi e con i dipendenti, così come il modo di cercare nuove opportunità lavorative o selezionare nuove figure professionali.

Un contesto in continuo mutamento
In un contesto in continuo mutamento, a fare la differenza nella scelta delle migliori figure professionali da inserire nel proprio team sono le soft skills, soprattutto se avvalorate da lettere di referenze da parte di ex colleghi o datori di lavoro. Viene meno poi il concetto di ufficio e scrivania, si lavora per obiettivi da qualsiasi parte del mondo, abbattendo i confini geografici e dando maggior valore alle competenze di ognuno. Il mondo del lavoro appare, dunque, sempre più globalizzato, per questo il vero capitale del futuro sarà rappresentato dalla reputazione.

“Oggi è tutto online”

 “Con la pandemia è cambiato non solo il modo di lavorare, ma anche l’impostazione della ricerca, e soprattutto i settori e le aziende privilegiate”, commenta Fernando Angulo, Responsabile della comunicazione di Semrush, piattaforma di Saas per la gestione della visibilità online. Inoltre, prima del Covid, “almeno il secondo colloquio veniva svolto in presenza, per valutare anche tutta una serie di soft skills, magari con piccoli test attitudinali – aggiunge Andrea Polo, CEO & Founder di Milano EXE, agenzia specializzata in recruiting -. Oggi è tutto online, per questo la lettera di referenze assume un peso sempre maggiore”. 

Performance management, coaching e sviluppo di competenze relazionali
“In periodi di crisi, la scelta migliore è quella di investire su sé stessi e acquisire nuove competenze, che possano rappresentare un vantaggio competitivo. In questo modo, a differenza di quanto si creda, è possibile reinventarsi a qualsiasi età, cambiando completamente lavoro – afferma Roberto Castaldo, Presidente e fondatore del Centro Studio Performance di 4 MAN Consulting -. È importante, quindi puntare a implementare la performance management, il coaching e lo sviluppo di competenze relazionali”. 
Ma per le aziende oggi lavorare sulla propria reputazione e guardare oltre il profitto “diventa essenza stessa del profitto, perché uno dei principali criteri con i quali si finanzieranno le imprese sarà quello reputazionale – sostiene Davide Ippolito, Ceo di Zwan, agenzia di reputation marketing e cofondatore di Reputation Rating -. Per gli imprenditori, però, è importante capire che la reputazione non è solo ciò che viene scritto sui social o nelle recensioni, ma si tratta di un parametro complesso, composto da asset interni ed esterni molto diversi tra loro”.

La pandemia ha messo in crisi le vecchie abitudini aprendo a nuove forme di mobilità, soprattutto fra i giovani di età compresa tra i 18 e i 25 anni, i più disposti a cambiare del tutto le proprie abitudini in fatto di mobilità. La condivisone non spaventa più, e se 6 italiani su 10 vogliono il car sharing 9 su 10 chiedono carburanti 100% ecologici. Gli italiani però sono “car lovers” e per l’85% di loro rimane irrinunciabile l’auto di proprietà. Lo rivela una ricerca BVADoxa per l’Osservatorio Change Lab, Italia 2030, realizzato da Groupama Assicurazioni.

Gli italiani sono pronti per la shared mobility

La pandemia, insomma, lascia il segno: nei prossimi 10 anni, 1 italiano su 2 (53%) si dice pronto a rivedere sostanzialmente le proprie abitudini in termini di mobilità, e l’effetto Covid19 incide sulle forme e sui mezzi di trasporto che in futuro orienteranno gli spostamenti in Italia. Se oggi, complice la paura del Covid, persiste ancora una certa reticenza a utilizzare mezzi di trasporto condivisi (attualmente solo 3 italiani su 10 dichiarano di far ricorso ai servizi di car sharing), il trend si inverte decisamente guardando al prossimo decennio, con un forte incremento delle formule alternative di mobilità. Più di 6 italiani su 10 (62%) si dichiarano pronti alla shared mobility, 4 su 10 (40%) a utilizzare mezzi diversificati in base alle esigenze di movimento, il 36% si mostra disposto anche ad avvalersi esclusivamente di mezzi ecologici.

Rivolti al futuro, ma non troppo

La ricerca rivela anche che tra 10 anni per l’85% degli intervistati la macchina “di famiglia” continuerà a essere un bene irrinunciabile (oggi lo è per il 93%), solo il 7% ritiene possibile rinunciarvi, ma di fatto il 97% degli intervistati dichiara di avere almeno un’automobile in famiglia e più di 7 su 10 confermano di utilizzarla come mezzo di trasporto preferito sia nella quotidianità (72%) sia per i viaggi fuori città (79%). Un dato sorprendente riguarda però gli over 55, di cui il 33% ritiene meno indispensabile il possesso di un’auto di proprietà. Spunta poi il bisogno di un’assicurazione multimodale e flessibile, che segua la persona e non più il veicolo, con 3 italiani su 10 che la sottoscriverebbero subito

Cosa cambierà fra dieci anni?

Fra dieci anni 2 italiani su 10 (18%) prevedono di non avere a disposizione in futuro un unico mezzo di trasporto principale, ma di scegliere di volta in volta il mezzo in base allo spostamento che dovranno affrontare. Nelle previsioni la macchina “di famiglia” sarà comunque ancora tra i mezzi generalmente più utilizzati (76%), precedendo le bici di proprietà (23%) e i mezzi pubblici (15%). Insomma, l’auto rimarrà sì un mezzo comodo e talvolta necessario, ma non per forza quello scelto per qualsiasi tipo di spostamento.

In questi giorni si è parlato spesso di insetti quale elemento della dieta di tutti noi. In un momento in cui il numero di esseri umani sulla Terra aumenta esponenzialmente e al contempo le risorse naturali si riducono, diventa infatti essenziale essere pronti con un piano B. E gli insetti, presenti in grandissima quantità, potrebbero rivelarsi dei “super food” inaspettati. Ma come la mettiamo con l’approccio a un simile menù? Come lo vivrebbero i nostri connazionali? Tutto sommato, mica male. Stando a una recentissima indagine condotta da AstraRicerche su un campione di 834 italiani, tra i 18 e i 65 anni, poco meno di uno su tre è favorevole. Nel dettaglio,  il 28,8% degli italiani mostra interesse per prodotti che contengono cannadibiolo (ben il 43% dei 18-24enni) e il 18,2% si dichiara interessato a provare prodotti in cui la carne sia sostituita, in tutto o in parte, dagli insetti, magari nella forma di farina (la percentuale sale al 25% tra i 18-24enni).  Lo studio è stato presentato nell’ambito di ‘Trend Academy/See the Next’ della Camera di Commercio di Bari.

Il cibo della tradizione resta il preferito

Sebbene i nostri connazionali si dimostrino aperti alle novità, per quanto riguarda la tavola i piatti preferiti restano quelli legati alla tradizione, precisa ancora la ricerca. E questa convinzione riguarda anche i cibi del futuro: quello ideale sarà sempre connesso alla storia culinaria del nostro Paese (47,2% con percentuali più alte tra gli over 45). Tuttavia, non manca una buona fetta di popolazione che non storce il naso davanti alle novità, anzi: il 23,3% punta su cibi innovativi, fatti con ingredienti nuovi o poco utilizzati in Italia. Più aperti i giovani (18-24enni) tra i quali la percentuale sale al 32%.

Il valore della sostenibilità
Tra gli argomenti che vengano maggiormente citati spiccano la sostenibilità ambientale e sociale, tanto che più di tre intervistati su quattro si dichiarano disposti a spendere di più per un prodotto con garanzie di sostenibilità certificate da enti autorevoli (in particolare tra i giovani). L’apertura all’innovazione è evidente anche nell’ambito dei servizi legati al settore alimentare: il 40,6% degli italiani gradisce l’idea di una Subscription Box (consegna regolare, in abbonamento, di prodotti ordinati tramite e-commerce) dedicata ai prodotti lattiero-caseari, in particolare se a proporla è una singola marca del settore (piace l’idea al 57,2%, vorrebbe provarla il 54,3%). Nell’e-commerce per prodotti alimentari, sul podio delle preferenze al primo posto gli italiani mettono i gruppi di produttori locali che si riuniscono e fanno consegne di quello che producono (37%). Al secondo la spesa online con una catena di supermercati (25,2%).

Per i giovani italiani il cambiamento climatico e il degrado ambientale rappresentano una priorità assoluta nell’agenda di governi e istituzioni. I giovani sono molto preoccupati per le sorti del pianeta, e chiedono interventi e mobilitazioni. Il 22 aprile, in occasione della Giornata Della Terra 2021, Ipsos ha condiviso alcuni dati di un’indagine su 23 paesi per indagare le percezioni dei giovani europei tra i 15 e i 35 anni in merito al cambiamento climatico. Lo studio è stato condotto per #ClimateOfChange, la nuova campagna europea di WeWorld, l’organizzazione italiana di cooperazione allo sviluppo e aiuto umanitario, nata con l’obiettivo di sviluppare la consapevolezza dei giovani cittadini e cittadine della UE sul nesso esistente tra cambiamento climatico, migrazioni e attuale modello economico.

Il cambiamento climatico è uno dei problemi più gravi del mondo. Anche al tempo del Covid

Secondo lo studio, quasi la metà (46%) dei giovani europei considera il cambiamento climatico come uno dei problemi più gravi del mondo, il che lo pone al primo posto tra i problemi elencati, anche nel bel mezzo della pandemia da Covid-19. E solo meno di un giovane europeo su dieci (8%) ne nega l’esistenza. Inoltre, la maggioranza dei giovani europei ritiene che spetta ai Governi fronteggiare l’inquinamento e il cambiamento climatico. In caso contrario, per il 70% dei giovani intervistati questo rappresenterebbe “un male per l’economia”, “un segno che il Governo ha le priorità sbagliate” (75%), “la prova che il Governo non ascolta la gente comune” (74%), e la prova di un atteggiamento “pericoloso e irresponsabile” (72%).

Spetta ai paesi economicamente avanzati fare la maggior parte degli sforzi economici e politici       

Una proporzione sostanziale di giovani europei, il 43%, crede che i paesi economicamente avanzati dovrebbero fare la maggior parte degli sforzi economici e politici per ridurre gli effetti del cambiamento climatico. In Europa occidentale, rispetto ad altre regioni, i giovani sono relativamente meno propensi ad affermare che i paesi economicamente avanzati dovrebbero fare più sforzi per affrontare gli effetti del cambiamento climatico, ma sostengono che tutti i Governi debbano sostenere queste responsabilità.

I giovani italiani sono motivati a far partire il cambiamento                 

Anche i giovani italiani, che costituiscono più della metà degli intervistati, sono molto o estremamente preoccupati per il cambiamento climatico. Si tratta di un dato addirittura superiore alla media europea, pari al 54% contro il 46%. Ma non si tratta di una preoccupazione fine a sé stessa, poiché i giovani italiani sono motivati a far partire il cambiamento. E 8 su 10 se potessero, voterebbero, o hanno votato, per i politici che danno la priorità alla lotta al cambiamento climatico e alla migrazione climatica.

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Sul fronte del riciclo e dell’economia circolare l’Italia in Europa è la numero uno. Lo certifica il rapporto L’economia circolare italiana per il Next Generation Ue, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Comieco, secondo il quale l’Italia sarebbe il Paese europeo con la più alta percentuale di riciclo (79%), superiore anche a Francia (56%) e Germania (43%). E questo non solo per la scarsità di materie prime e approvvigionamento energetico, ma anche per l’introduzione di processi innovativi nel sistema delle imprese, soprattutto durante la recessione economica degli ultimi anni, e di alcuni modelli di governance virtuosi. Un altro primato italiano è quello di aver migliorato ulteriormente le prestazioni dal 2010 al 2018: nonostante un tasso di riciclo già molto elevato sono arrivate infatti al +8,7%.

Il risparmio energetico

L’alta percentuale di riciclo, si legge nel rapporto, è decisiva dal punto di vista della sostenibilità, non solo per la riduzione dei rifiuti da smaltire e il minore impiego di materie prime, ma per il risparmio energetico, con un conseguente, importante taglio di emissioni climalteranti. Il recupero di materia nei cicli produttivi permette infatti un risparmio annuo pari a 23 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, e 63 milioni di tonnellate di CO2. Le emissioni di CO2 evitate attraverso il riciclo di materia in Italia valgono l’85% delle emissioni di gas climalteranti provenienti dalla produzione elettrica nazionale (74,5 milioni di tonnellate).

Il riciclo della carta

Se l’intera filiera del riciclo vale complessivamente oltre 70 miliardi di euro di fatturato e impiega 213 mila addetti, in Italia il settore della carta riciclata genera “un fatturato di circa 25 miliardi di euro, l’1,4% del Pil, e occupa circa 200 mila addetti, con un tasso di circolarità medio del 57%”, si legge ancora nel rapporto. Solo nel 2018 il riciclo industriale di carta in Italia ha consentito di evitare consumi energetici pari a 1,5 milioni di tep, ed emissioni climalteranti pari a 4,4 milioni di tonnellate di CO2.

Le 5 direttrici strategiche

Alla luce degli investimenti da realizzare con il Recovery Fund il rapporto di Symbola delinea 5 direttrici strategiche. La prima è ottimizzare la filiera del recupero per potenziare l’economia circolare. In particolare, migliorando la raccolta differenziata e la diffusione di tecnologie avanzate per aumentare la qualità del materiale selezionato. La seconda è decarbonizzare i cicli produttivi, anche attraverso una progressiva conversione energetica, e la terza è creare nuove filiere industriali e di prodotti bio-based, riciclato e riciclabile. La quarta direttrice è investire sulle tecnologie digitali per digitalizzare i processi di gestione delle materie seconde, e la quinta e ultima direttrice individuata dal rapporto di Symbola è ottimizzare la logistica delle materie seconde puntando su hub ferroviari connessi alla rete ferroviaria nazionale, riporta Ansa.