Il mercato dell’usato continua a crescere, anche online. Secondo i risultati della nona edizione dell’Osservatorio Second Hand Economy, condotto da Bva Doxa per Subito.it, sono 24 milioni gli italiani che nel 2022 hanno scelto la Second Hand Economy, per un guadagno medio di quasi 1.000 euro (953 euro), generando un valore economico di 25 miliardi di euro, pari all’1,3% del Pil nazionale. E se continua anche la crescita dell’online, canale preferito dal 65%, con un volume d’affari di 11,9 milioni di euro (47% del totale), dopo due anni di difficoltà cresce anche l’offline.

Aumenta il numero di persone che comprano e vendono usato 

Nel 2022 aumenta quindi il numero di persone che comprano e vendono usato, così come la frequenza di utilizzo di questa forma di economia circolare e distributiva. 
“Nel 2022 osserviamo un ulteriore aumento della percentuale di coloro che fanno second hand, così come del valore generato – commenta Giuseppe Pasceri, Ceo di Subito -. Un segnale chiaro di come questa forma di economia circolare abbia a tutti gli effetti sdoganato il pregiudizio per diventare un’abitudine di cui andare fieri, una scelta da rivendicare con orgoglio perché intelligente, sostenibile, smart Subito, e in particolare l’esperienza simile all’e-commerce della compravendita dell’usato, scelta da 6 utenti su 10, hanno contribuito a rendere ancora più semplice e comoda questa scelta, conquistando un target cross-generazionale esigente e attento”.

Veicoli, Casa e Persona, Elettronica, Sports&Hobby le categorie più gettonate

La prima categoria per valore generato a totale si conferma Veicoli (10,6 miliardi), seppure in decrescita rispetto al balzo positivo del 2021. A seguire Casa e Persona, che cresce più delle altre (6,7 miliardi nel 2022 vs 5,7 miliardi nel 2021), Elettronica (4,5 miliardi) e Sports&Hobby (3,4 miliardi), stabili rispetto al 2021 per valore generato. La percentuale di chi compra e vende usato cresce dal 52% al 57% e si conferma al terzo posto tra i comportamenti sostenibili messi in atto dagli italiani, preceduto da raccolta differenziata (90%) e acquisto di lampadine Led (69%) e seguito da acquisto prodotti a km0 (49%).

Un alleato della sostenibilità

Alcuni target, in particolare, trovano nella second hand un alleato per affrontare tutti i cambiamenti tipici della loro condizione, come GenZ e Millennials (73%), o famiglie giovani con figli piccoli (75%). Ma quali sono i valori associati a questa scelta? La sostenibilità di un comportamento che fa bene all’ambiente (55%), l’importanza di non sprecare, dando valore alle cose (52%) e la scelta intelligente e attuale di un modello differente di economia (51%), valori trasversali a tutte le generazioni. Le prime tre regioni che spiccano per volume d’affari nel 2022, riferisce Adnkronos,  sono Lombardia (4,2 miliardi), Campania (3,1 miliardi), e Lazio (2,7 miliardi). Le regioni dove si guadagna di più rispetto alla media nazionale grazie alla vendita dell’usato sono invece Campania (1.114 euro), Veneto (1.099 euro) e Lombardia (970 euro).

È quanto emerge da una rilevazione effettuata da Assolavoro Datalab: entro il mese di aprile 2023 le Agenzie di lavoro italiane offriranno ai potenziali candidati complessivamente 150 mila opportunità.
Assolavoro è l’Associazione Nazionale di Categoria delle Agenzie per il Lavoro (ApL). Riunisce le Agenzie per il Lavoro che producono l’85% del fatturato complessivo legato alla somministrazione di lavoro, e conta su tutto il territorio nazionale oltre 2.500 filiali. Assolavoro Datalab è invece l’Osservatorio dell’Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro, che utilizza sia dati interni al settore sia fonti terze qualificate, come Excelsior, Linkedin, Trovit, e Indeed.

Contratti in somministrazione e a tempo determinato

A livello geografico, il 30,2% delle assunzioni è previsto nell’area del Nord-Ovest, il 24,4% al Nord-Est, il 20,2% al Centro e il 25,2% al Sud e nelle Isole. Sono diverse le qualifiche professionali relative ai 150 mila contratti offerti dalle agenzie, da sviluppatori java a esperti in Comunicazione digitale e ingegneri meccanici, ma anche cuochi, autisti, operai specializzati, termoidraulici e camerieri.
Si tratta per lo più di contratti di lavoro in somministrazione, ovvero contratti che prevedono le medesime tutele e la retribuzione tipica del lavoro dipendente, mentre per i contratti offerti a tempo determinato sono previste occasioni doppie di reimpiego allo scadere del rapporto di lavoro.

Da architetti informatici a sales account e specialisti delle spedizioni

Sviluppatori java e sistemisti, architetti informatici, esperti in controllo di gestione e ingegneri meccanici, elettrici e dell’automazione, project manager, communication e digital communication specialist, sono tra le figure più ricercate tra le professioni ad alta qualifica. E poi ancora, elettricisti, specialisti della qualità, sales account, contabili e addetti alla tesoreria, esperti in recruiting e training, receptionist e cuochi. Nel settore manifatturiero si evidenzia in particolare la richiesta di termoidraulici, operatori di macchine, addetti al banco di assemblaggio, autisti, camerieri, magazzinieri e specialisti delle spedizioni.

Circa 692mila offerte per i 30 profili più ricercati

Sono queste infatti alcune tra le 30 figure professionali più ricercate nel mondo del lavoro per i mesi di marzo e aprile 2023. I profili sono distinte in tre diverse categorie, ovvero le dieci professioni più ricercate a elevata qualifica, le dieci a media qualifica e le dieci figure di natura più operativa.
Nel bimestre marzo-aprile 2023 i gruppi professionali ai quali appartengono i 30 profili più ricercati dalle imprese creeranno circa 692 mila offerte di lavoro, su un totale di oltre 810 mila opportunità lavorative totali rilevate dal rapporto Excelsior di Unioncamere.

Il mercato della mobilità in Italia è in ripresa. La crisi degli ultimi anni sembra volgere al termine, e se alcuni comparti hanno già superato il 2019 in termini di spesa dei consumatori, altri proseguono la ripresa iniziata nel 2021, ma restano ancora lontani dai valori pre-pandemia. Nonostante per la mobilità il ricorso a strumenti di pagamento elettronici riguardi ancora solo una transazione su 10, il digitale sta aumentando la sua incidenza anche nei comparti più tradizionalmente legati al contante. Un esempio è il trasporto su taxi, dove la penetrazione delle carte di pagamento nel 2022 ha raggiunto il 27% del totale. Sono alcune evidenze emerse dagli Osservatori Innovative Payments e Innovazione Digitale nel Turismo della School of Management del Politecnico di Milano.

Aerei, traghetti, autobus, treni, autonoleggio 

Il comparto aereo, prima voce del mercato Mobility e il più colpito dalla pandemia, nel 2022 segna +65% rispetto al 2021, assestandosi a 9,9 miliardi di euro (-27% sul 2019). Anche per il mercato dei traghetti, dopo un anno di stabilità, il volume delle transazioni torna a crescere, sfiorando i 2 miliardi di euro (+29% sul 2021). Il settore del trasporto su autobus a medio-lungo raggio registra invece un +24% sul 2021, per un valore totale di 310 milioni di euro, mentre il trasporto ferroviario, dopo due anni di incertezza, supera seppur di poco (+1%) il 2019. Anche il mercato dell’autonoleggio ha conseguito risultati positivi: con oltre 1,5 miliardi di euro (+66% sul 2021) nel 2022 ha già superato il valore pre-pandemia del 9%.

Trasporto pubblico locale, taxi, pedaggi autostradali, ZTL

Nel trasporto pubblico locale i servizi urbani nel 2022 raggiungono un transato complessivo di 3,8 miliardi di euro (+46% sul 2021) recuperando quasi completamente il gap con il 2019. Il mercato dei taxi, dopo una forte contrazione nel 2020, è quello con la crescita maggiore rispetto al 2021 (+81%), sfiorando 1,5 miliardi di euro (+250 milioni sul 2019). Il mercato del pedaggio autostradale, seconda voce principale della Mobility, nel 2022 vale nel complesso oltre 8,5 miliardi di euro (+6% sul 2021), superando leggermente il valore del transato del 2019, mentre il settore delle ZTL registra una forte ripresa (+32% sul 2021), ma il valore complessivo (62 milioni) resta ancora lontano dai 90 milioni del 2019.

Pagamenti sempre più digitali 

Nel 2022 il contante rimane lo strumento preferito dai consumatori nella quasi totalità dei casi, ma il digitale conferma la sua penetrazione in alcuni comparti, facendo da volano al rilancio di mercati tradizionalmente più legati al pagamento fisico o in loco. È il caso degli autobus a medio-lungo raggio, per i quali aumenta del 12% rispetto al 2019 l’incidenza dell’acquisto tramite carte e wallet proprietari degli operatori di trasporto. Anche i canali online diventano più rilevanti, dal 54% di incidenza nel 2019 al 64% nel 2022, recuperando a valore circa l’80% del pre-pandemia. Anche nel mercato del trasporto ferroviario si conferma il ricorso a strumenti elettronici per prenotare/pagare, dove l’online incide sul 59% dei volumi del comparto, +18% sul 2019.

Dopo qualche mese più “tranquillo”, nel 2022 è ripreso con slancio il trend di richieste di credito al consumo. Lo riferisce  EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie gestito da CRIF. Entrando nel merito dell’andamento del comparto, i dati parlano di un incremento complessivo delle richieste del +18,9% rispetto al 2021, recuperando così il clima di fiducia dopo lo shock pandemico degli ultimi due anni. Entrando nel dettaglio della domanda di credito, nel 2022 si è registrata una crescita del 22,9% per le richieste di finanziamento personali, e del +16,7% per i prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi.

La domanda resta “prudente”

Per il terzo anno consecutivo l’importo medio dei finanziamenti richiesti segna una flessione del 3,9% e un valore di 8.106 euro (contro gli 8.434 euro del 2021 e i 8.895 euro del 2020). La dinamica dell’assottigliarsi dell’importo richiesto coinvolge sia i prestiti personali con un valore pari a 12.223 euro (-1,4% rispetto al 2021) sia i prestiti finalizzati che si fermano a 5.717 euro (-8,5% vs 2021).
Se entriamo nel dettaglio della distribuzione dei prestiti per fascia di importo, il dato cumulato mostra come oltre un italiano su due richiede importi inferiori ai 5.000 euro (57,3% del totale), seguiti dagli scaglioni appena superiori: 10.000-20.000 euro (16,4%) e 5.000-10.000 euro (15,1%). La domanda, seppur così frazionata in importi contenuti, viene comunque dilazionata su un arco temporale superiore ai 5 anni per il 22,7% degli italiani, al fine di pesare il meno possibile sul bilancio familiare.

Importi dilazionati nel tempo, ma non troppo

La dinamica prudente delle famiglie italiane si rispecchia anche nello spaccato delle due forme tecniche prese in esame: il 75,1% delle richieste di prestiti finalizzati ha una estinzione del debito non superiore ai 3 anni; mentre i prestiti personali, che spesso rappresentano un impegno particolarmente gravoso per le famiglie, tendono a concentrarsi nella fascia di durata superiore al lustro, 43% del totale. Osservando, infine, la distribuzione delle richieste di prestiti (aggregato personali e finalizzati) in relazione all’età del richiedente, il Barometro CRIF evidenzia come nel 2022 la fascia compresa tra i 35 e i 54 anni sia stata quella maggioritaria, con una quota pari al 45,2% del totale.

Le previsioni per il futuro

“Lo scenario continua a essere dominato dalle tensioni geopolitiche, dall’aumento dei tassi d’interesse e dalla prospettiva di un rallentamento della crescita economica, le cui ricadute peseranno sulle condizioni finanziarie delle famiglie” commenta Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. Rispetto al primo semestre del 2022, le prospettive sull’economia e il mercato del credito appaiono in affanno a causa degli effetti delle tensioni generate dal conflitto in Ucraina e dall’inflazione. Alla luce di tale contesto, nei prossimi mesi la domanda di prestiti potrà subire una flessione a causa del rallentamento dei consumi, in particolare su quelli durevoli”.

L’economia mondiale si trova in un periodo di grande incertezza emersa con la guerra in Ucraina, e con conseguenze che si riflettono sui principali indicatori macroeconomici. Ad esempio, il Prodotto Interno Lordo (PIL) reale mondiale nel 2023 dovrebbe crescere dell’1,3%, a fronte di una crescita del 3,1% nel 2022 e di una media dell’ultimo decennio del 2,7%. Il report di EY Italian Macroeconomic Bulletin per l’Italia una crescita del Pil reale del 3,8% nel 2022 e dello 0,6% nel 2023, mentre il tasso di inflazione dovrebbe passare dall’8,2% del 2022 indica al 7,1% nel 2023. Secondo il report, il deficit pubblico nel 2023 dovrebbe attestarsi al 4,1% contro il 5% nel 2022, e il debito pubblico dovrebbe scendere al 145% del Pil. Per il mercato del lavoro si prevede una leggera espansione, con il tasso di disoccupazione che dovrebbe scendere poco sotto l’8%.

A novembre 2022 inflazione all’11,8% 

A novembre 2022 l’inflazione complessiva in Italia era l’11,8% rispetto allo stesso mese del 2021. Nonostante la componente energetica sia quella che ha registrato l’aumento maggiore, il suo peso è pari a circa il 10% del totale, motivo per il quale tali dinamiche si riflettano solo in parte sull’Ipc.
Nella definizione del tasso di inflazione, infatti, influisce molto più il settore servizi (38,7% al 2022) rispetto a quello dell’energia. Un altro indicatore influenzato da un’elevata inflazione è la crescita del valore nominale dei salari, che dovrebbero aumentare per contrastare la riduzione del potere d’acquisto dei consumatori.

Sette trimestri di crescita ininterrotta fino al terzo del 2022

In Italia i dati indicano una costante crescita economica, che prosegue consecutivamente da sette trimestri, seppur con un rallentamento registrato nel terzo trimestre del 2022. In questo periodo, infatti, il Pil è cresciuto dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, e del 2,6% rispetto allo stesso trimestre del 2021. Il principale contributo alla crescita registrata già l’anno scorso, e proseguita nei primi 9 mesi del 2022, è dovuto ai consumi delle famiglie e agli investimenti. 

Cosa incide sul Pil?

Nello specifico, gli investimenti rappresentano la componente più dinamica del Pil, con un aumento di circa il 20% rispetto al terzo trimestre 2019. Anche i consumi hanno avuto una crescita considerevole, tornando ad allinearsi con la fase pre-pandemia. Il modello econometrico di EY stima per il quarto trimestre 2023 una lieve contrazione del Pil rispetto al trimestre precedente, dovuta in particolare alla riduzione dei consumi delle famiglie, che dovrebbe protrarsi anche nei primi mesi 2023 per stabilizzarsi nel corso dell’anno. Le previsioni indicano un rallentamento anche delle esportazioni e degli investimenti, dovuto allo scenario economico incerto e ai tassi di interesse elevati.

Sono quasi 5 milioni gli individui che dovrebbero essere inseriti nel mercato del lavoro, un mercato sempre più in difficoltà per un problema di matching tra domanda e offerta in continuo peggioramento. Lo rivela l’ultima indagine di Randstad Research, che ha analizzato il mancato incontro tra domanda e offerta nei diversi settori e territori, identificando per la prima volta gli spostamenti della ‘curva di Beveridge’, lo strumento che permette di analizzare l’efficienza dei diversi mercati del lavoro misurando la variazione percentuale del tasso dei posti vacanti al variare della disoccupazione. La ricerca evidenzia come nella doppia crisi vissuta dall’Italia tra il periodo 2005-2009 e 2015-2019, la ‘curva di Beveridge’ abbia mostrato un forte peggioramento con aumento sia del tasso di disoccupazione sia dei posti vacanti, arrivando a un punto di rottura.

Cosa è successo dopo il Covid

Una volta superate le fasi più critiche del periodo Covid (con il blocco dei licenziamenti), il mercato del lavoro del 2022 paga ancora quegli effetti e i loro strascichi. Mentre diminuisce il tasso di disoccupazione (che resta comunque alto), continua a crescere il numero di offerte di lavoro scoperte. Oggi, ogni 100 disoccupati in meno si contano mediamente 24 posti vacanti in più, riferisce Adnkronos. 
“Le cause strutturali dei colli di bottiglia del nostro mercato del lavoro – commenta Daniele Fano, coordinatore del Comitato scientifico di Randstad Research – sono diverse: ci sono aspetti retributivi, demografici, sociali, ma soprattutto l’inadeguatezza di percorsi formativi poco orientati alle professioni richieste dal mercato e non al passo con l’innovazione tecnologica. E poi la natura della nostra disoccupazione, di lungo periodo, con oltre metà delle persone in cerca di lavoro in Italia disoccupata da più di un anno.”
“La storica debolezza delle politiche del lavoro – dice – relega troppi giovani, donne in età lavorativa, uomini vicini all’età della pensione tra gli inattivi ed esaspera il paradosso di un’elevata difficoltà di reperimento delle figure professionali desiderate da parte dei datori di lavoro, per non parlare dei tanti attivi che hanno scelto invece di far carriera all’estero. Una vera svolta può arrivare dal Pnrr, che investirà importanti risorse in questi ambiti, ma il cui sforzo andrebbe decuplicato per poter risolvere pienamente la situazione”.

Il paradosso degli “scoraggiati”

A fine 2021 si contavano 2,3 milioni di disoccupati. Ma esiste un’altra porzione di popolazione non occupata, che sarebbe disponibile a lavorare anche se un lavoro non lo cerca: gli scoraggiati inattivi che hanno rinunciato a cercare un impiego, ben 2,5 milioni. Sommati, stima Randstad Research, si contano ben 5 milioni di persone da coinvolgere nel mercato del lavoro, tra cui molti giovani, donne e esodati. Analizzando la distribuzione territoriale, in tutte le regioni del Mezzogiorno gli scoraggiati predominano sui disoccupati, con le quote maggiori in Basilicata e Molise, dove la percentuale raggiunge il 70,9% e il 65,9%.

Oggi le aziende faticano a trovare tecnici e figure professionali specializzate: il lavoro c’è, ma manca la manodopera, e non solo in Italia. Sul profilo professionale del tecnico permangono ancora pregiudizi e sentimenti contrapposti, mentre è una figura che si sta evolvendo per rispondere alle nuove aspettative dettate dall’innovazione tecnologica. E che rimane di fondamentale importanza per un tessuto produttivo centrale allo sviluppo economico del Paese. La ricerca di AstraRicerche, commissionata dal Gruppo Tesya, fotografa ambizioni, bisogni e desideri relativi a scuola e lavoro dei giovani studenti tra i 15 e 19 anni in Italia, Spagna, Portogallo, Slovenia e Croazia.

Una figura ancora avvolta da stereotipi

La capacità del tecnico è quella di analizzare, comprendere e prevenire i problemi, e di conseguenza, intervenire direttamente per risolverli. Poiché sempre più aziende sono orientate verso sistemi di manutenzione predittiva, basati sulla teoria del guasto zero, la figura del tecnico si è evoluta in quella del tecnico predittivo, in cui interpretazione dei dati e utilizzo efficace della tecnologia giocano un ruolo determinante. Ma per i giovani italiani questa figura è ancora avvolta da stereotipi: per il 35% ha uno stipendio basso, per il 32% non è una figura professionale stimata, per il 30% non è per niente ‘cool’ perché non ha grandi responsabilità e né deve prendere decisioni, e per il 47% fa un lavoro faticoso. Non solo: per il 41% le scuole professionali e tecniche sono consigliate a chi ha poca voglia di studiare.

Il sogno di una retribuzione adeguata

Per quanto riguarda gli indicatori che influenzano la scelta di accettare o meno un lavoro, per i giovani italiani sono retribuzione adeguata (56%), possibilità di crescita personale (43%) e assenza di precarietà (40%). Nel merito delle competenze, per i giovani predominano componenti legate alle soft skill, soprattutto la comunicazione, che per i giovani italiani guida la classifica (40%). Seguono la capacità di comprendere il cliente (39%) e la capacità di problem solving (33%), mentre la capacità di apprendimento continuo è al terzo posto (23%).

Le professioni del futuro

Gli studenti italiani ritengono che la scuola, in particolare quella superiore, dovrebbe fornire non solo conoscenze e competenze in uno specifico ambito, ma anche formare a essere validi come colleghi (58%), ed esaltare caratteristiche caratteriali e comportamentali (44%). Le professioni ritenute più rilevanti, riporta Adnkronos, sono quelle legate alle nuove tendenze del mondo web: al primo posto, il grafico/designer/web designer (64%), seguito da YouTuber, TikToker, Web Influencer (61%), mentre al terzo posto si attesta l’informatico, sviluppatore di siti web e app (55%), e solo all’ultimo posto il tecnico meccanico, elettronico, commerciale (42%).

La riduzione del personale può causare rischi di cybersecurity alle Pmi? Kaspersky ha intervistato più di 1.300 responsabili di Pmi in tutto il mondo per scoprire quali rischi di cybersecurity potrebbero comportare le misure anti-crisi. Secondo alcuni studi, nonostante durante la pandemia la fidelizzazione dei team aziendali sia stata la priorità assoluta per quasi la metà delle organizzazioni, molte aziende potrebbero essere costrette a ‘tagliare’ il personale per ridurre i costi. E di fatto, solo il 51% dei dirigenti è sicuro che i propri ex dipendenti non abbiano più accesso ai dati aziendali archiviati nei servizi cloud, e solo il 53% che gli ex dipendenti non possano più usare gli account aziendali.

La riduzione del personale può mettere a rischio il futuro dell’azienda?

Dal momento che quasi la metà degli intervistati non è riuscita ad affermare con certezza che i propri ex dipendenti non abbiano accesso alle risorse digitali dell’azienda, la riduzione del personale potrebbe mettere ulteriormente a rischio la sicurezza dei dati e il futuro dell’azienda. Infatti, l’uso improprio dei dati da parte degli ex dipendenti nei nuovi posti di lavoro, o per procurarsi nuovi clienti, è stato il principale motivo di preoccupazione per i dirigenti. La maggior parte dei dirigenti aziendali teme infatti che gli ex dipendenti condividano i dati interni dell’azienda con i nuovi datori di lavoro (63%) o utilizzino i dati aziendali, come quelli dei vecchi clienti, per lanciare la propria attività (60%).

“L’accesso non autorizzato può diventare un problema enorme”

“L’accesso non autorizzato può diventare un problema enorme per qualsiasi azienda, con ripercussioni sulla sua competitività quando i suoi dati vengono trasferiti a un concorrente, venduti o cancellati – ha spiegato Cesare D’Angelo, General Manager Italia di Kaspersky -. Il problema si complica quando i dipendenti utilizzano attivamente servizi aziendali o ‘shadow IT’ che non sono distribuiti o controllati dai dipartimenti IT aziendali. Se l’utilizzo di questi servizi non viene gestito dopo il licenziamento di un dipendente, ci sono poche possibilità che l’accesso alle informazioni condivise tramite queste applicazioni venga interrotto per un ex lavoratore”.

Misure anticrisi: la sicurezza non si “taglia”

Nel complesso, il 31% degli intervistati considera la riduzione dell’occupazione come una possibile misura per tagliare i costi in caso di crisi. Tra le altre misure di riduzione dei costi più diffuse gli intervistati indicano la diminuzione delle spese per la pubblicità e la promozione (36%), e quella per i veicoli (34%). La cybersecurity, invece, non sembra essere un’area in cui i responsabili preferirebbero risparmiare sul budget.

Il digitale è un elemento ormai sempre più diffuso e centrale nella vita quotidiana di lavoratori e consumatori. Non stupiscono, ad esempio, le stime pubblicate da Desi, il monitor della Commissione europea che analizza lo stato di digitalizzazione dei Paesi membri, secondo il quale l’Italia nel 2022 vanta il primato del Paese che in Europa più sta crescendo su questo fronte. Anche i servizi di welfare devono però adattarsi a questa trasformazione. 
Secondo i dati di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, dalla sfida posta dalla digitalizzazione non è infatti esente il mondo del lavoro e del welfare aziendale.

Integrare piattaforme digitali per la gestione dei benefit

Nel 2022 il welfare aziendale ha visto importanti novità, in particolare dal punto di vista normativo, ma che già nel biennio precedente aveva registrato dinamiche di cambiamento significative dal punto di vista dei modelli organizzativi. Le aziende infatti sono sempre più interessate a integrare piattaforme digitali per la gestione dei servizi di welfare e benefit offerti ai propri collaboratori, in grado di consentire un facile accesso da remoto.
Un esempio di questa integrazione è Sodexo Multi, la smart card di Sodexo che coniuga la flessibilità dei buoni pasto con una user experience digitale e di pagamento rinnovata.

“Una connessione sempre più stretta tra azienda e dipendenti”

“Investire nella digitalizzazione del welfare, come ci raccontano i dati che abbiamo raccolto, rappresenta una grande opportunità per le imprese -commenta Anna Maria Mazzini, Chief Growth Officer di Sodexo Benefits & Rewards Services Italia-, poiché i nuovi strumenti digitali a nostra disposizione consentono di creare una connessione sempre più stretta tra azienda e dipendenti, semplificando notevolmente i processi per le HR, nonché la fruizione per i dipendenti, e intercettando in modo innovativo i nuovi bisogni delle persone e degli utenti. Sono proprio i nostri collaboratori, ormai perfettamente a loro agio nell’utilizzo quotidiano di app e piattaforme digitali, a richiedere soluzioni smart di questo tipo”.

Incentivare l’utilizzo dei fringe benefit per i lavoratori

Negli ultimi annila normativa ha evidenziato la volontà del legislatore a incentivare l’utilizzo dei fringe benefit per i lavoratori, che possono comporre liberamente il proprio paniere di beni e servizi da acquistare attraverso il budget assegnato. Grazie al Decreto Aiuti bis varato dal Governo e recentemente approvato dal Parlamento, riferisce Adnkronos, la soglia di esenzione fiscale dei fringe benefit poi è ora pari a 600 euro. E quest’anno il Governo ha previsto un bonus, anch’esso interamente deducibile, per il carburante. Per i lavoratori, i fringe benefit rappresentano, invece, un ammontare non soggetto a contribuzione né a prelievo fiscale. Un modo per le aziende di supportare, in una congiuntura economica delicata come quella attuale, la capacità di spesa di famiglie e imprese.

Il cambiamento climatico è un tema sempre più dibattuto, attuale e che necessità di risposte e azioni concrete da parte dei governi. Non è certo un caso se all’incirca in 34 paesi del mondo, coinvolti da una ricerca internazionale di Ipsos condotta in collaborazione con il World Economic Forum, oltre la metà degli intervistati (56%) ritiene che i gravi effetti del cambiamento climatico siano già visibili nella propria zona. Inoltre, a causa del cambiamento climatico, più di sette rispondenti su dieci (71%) si aspettano gravi conseguenze nella propria aerea nei prossimi 10 anni e un terzo (35%) prevede lo sfollamento nei prossimi 25 anni.

Gli italiani ancora più negativi

I cittadini italiani mostrano una preoccupazione molto più elevata, rispetto alla media internazionale, in merito alla gravità degli effetti del cambiamento climatico sia nel presente, sia guardando al futuro. Quali sono le principali opinioni? 
La percentuale di intervistati che descrive l’effetto che il cambiamento climatico ha avuto finora nell’area in cui vivono con livelli molto o abbastanza gravi varia dal 25% in Svezia al 75% in Messico, con una media del 56% in tutti i 34 Paesi. A livello internazionale, la maggioranza in 22 dei 34 Paesi esaminati riferisce che la loro area è già stata gravemente colpita dal cambiamento climatico, inclusi 9 Paesi in cui si superano i due terzi: Messico, Ungheria, Turchia, Colombia, Spagna, Italia, India, Cile e Francia. Nello specifico, in Italia sono sette cittadini su dieci a ritenere che il cambiamento climatico ha già avuto effetti gravi nel luogo in cui vivono.

Cosa accadrà nel prossimo decennio?

Gli intervistati vedono nero per quanto riguarda il futuro. La preoccupazione di essere gravemente colpiti dai cambiamenti climatici nel prossimo decennio è espressa dalla maggioranza degli intervistati in ogni Paese esaminato: dal 52% in Malesia a oltre l’80% in Portogallo, Messico, Ungheria, Turchia, Cile, Corea del Sud, Spagna e Italia. Il timore per le conseguenze negative future del cambiamento climatico è maggiore di 15 punti rispetto a quanti affermano che gli effetti gravi siano giù visibili. Infatti, in media a livello internazionale, il 71% si aspetta che il cambiamento climatico avrà un impatto molto o abbastanza grave nella propria area nei prossimi 10 anni. La percentuale aumenta notevolmente in Italia, dove l’81% dei cittadini prevede che la propria area sarà gravemente colpita dai cambiamenti climatici nel prossimo decennio.