Smart Working: in Italia 3,6 milioni lavorano da remoto

Dopo il picco della pandemia, e la graduale riduzione negli ultimi due anni, nel 2023 i lavoratori da remoto in Italia si assestano a 3,585 milioni. In crescita rispetto ai 3,570 milioni del 2022, e ben il 541% in più rispetto al pre-Covid.
Insomma, nel nostro Paese lo smart working si consolida e torna a crescere, Nel 2024 si stimano 3,65 milioni di smart worker.

Nel corso del 2023 i lavoratori da remoto sono aumentati particolarmente nelle grandi imprese, dove rappresentano oltre un lavoratore su due (1,88 milioni), e lievemente anche nelle Pmi (570mila), dove rappresentano il 10% della platea potenziale.
Sono invece diminuiti nelle micro imprese (620mila, 9% del totale) e nelle PA (515.000, 16%).
Emerge dall’ultimo Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano.

Più presente nelle grandi imprese, meno nelle Pmi

Oggi il 96% delle grandi imprese applica iniziative di smart working, in larga parte con modelli strutturati, e il 20% è impegnato a estenderne l’applicazione anche a profili tecnici e operativi precedentemente esclusi.

Lo smart working è presente anche nel 56% delle Pmi, dove viene spesso applicato con modelli informali gestiti a livello di specifici team.
Viene poi adottato anche dal 61% degli enti pubblici, con iniziative strutturate presenti soprattutto nelle realtà di maggiori dimensioni.

Tutte le grandi imprese prevedono di mantenerlo anche in futuro, solo il 6% è incerto.
Al contrario, il 19% delle Pmi non sa come, o se, lo smart working verrà previsto in futuro.

Gli smart worker abbandonano le città

Grazie alla diminuzione degli spostamenti e il minor uso degli uffici lo smart working ha effetti importanti sull’ambiente, ma non solo.
Lo smart working ha effetti anche sul mercato immobiliare.
Il 14% di chi lavora da remoto ha cambiato casa o ha deciso di farlo, spesso scegliendo zone periferiche o piccole città alla ricerca di un diverso stile di vita, con un effetto di rilancio per diverse aree del paese.

Un cambiamento che ha generato iniziative di marketing territoriale e nuovi servizi, come nuove infrastrutture di connettività o spazi coworking. D’altronde, il 44% di chi lavora da remoto l’ha già fatto, almeno occasionalmente, da luoghi diversi da casa propria, come spazi di coworking, altre sedi dell’azienda o altri luoghi della città.

Ma non sempre il work è davvero smart

Non sempre però il lavoro da remoto porta a modelli realmente ‘smart’. Sono solo i ‘veri’ smart worker, ossia quelli che oltre a lavorare da remoto hanno flessibilità di orari e operano per obiettivi, a presentare livelli di benessere ed engagement più alti dei lavoratori tradizionali in presenza.

Tuttavia, sono anche più frequentemente vittime di forme di tecnostress e overworking.
Un ruolo fondamentale è quello dei manager. I lavoratori con un capo realmente ‘smart’, che assegna obiettivi chiari, fornisce feedback frequenti e costruttivi, favorisce la crescita professionale e trasmette gli indirizzi strategici, presentano livelli di benessere e prestazioni migliori rispetto a quelli i cui capi non hanno queste caratteristiche.